lunedì 30 dicembre 2013

PHE - L'uomo dai settantadue volti

Phesofit ( a fine parola)
Phe
Peh viene pronunciato P o F, a seconda che ci sia o meno un puntino (daghesh) nella lettera. È il geroglifico della sensualità, della bellezza fisica; e della bocca, della voce, del volto, dell’espressione; della parola e della persuasione e, anche, del silenzio.

È la delicatissima P di «fiore» (perakh), di «farfalla» (parpar), di «viso» (panim). Nell’Angelo di oggi, come avete letto, è anche immagine di una ipersensibilità a tutto ciò che nella realtà vi è di brutto, di infetto – e che nel Nome angelico è raffigurato dalla seconda lettera, la Waw. Ma non si può dire, certamente, che solo i nati dal 27 al 31 dicembre possano sentirsi delusi dall’abbondante bruttezza del nostro mondo: e infatti l’Angelologia non afferma affatto questo. Ai «protetti» di Phuwiy’el tocca soltanto il compito di comprendere, sviluppare, far fruttare con particolare impegno e determinazione quella tensione tra la Phe e la Waw, ma il loro Angelo agisce per tutti e in tutti – tanto quanto gli altri suoi settantuno Colleghi. Credo sia utile approfondirlo un pochino l'argomanto.

Avrete certamente sentito dire e magari letto l’esortazione «ama il prossimo tuo come stesso». Non date retta a chi ve la spiega come un’ingiunzione ad amare tutti: figurarsi se si può amare a comando! Provate invece a considerarla sul serio, e per ciò che dice davvero. Tu ami e odi il prossimo così come ami e odi te stesso: è così, sempre, proprio perché il tuo prossimo (cioè chi ti trovi accanto, chi vedi per strada, in mezzo all’altra gente) è veramente te stesso. È un aspetto di te che ancora non hai ben capito, e che perciò ti colpisce tanto quando lo vedi in un altro. E quell’altra famosa frase dei Vangeli: «ama il tuo nemico»? Vale lo stesso anche lì: il tuo nemico si rivelerà, puntualissimamente, il tuo amico migliore e più utile, proprio perché ciò che vedi e detesti in lui è un aspetto di te che oggi ti occorre urgentemente riconoscere. Perciò il tuo nemico ha litigato con te: ti esorta (senza saperlo, e dunque disinteressatamente) ad aprire gli occhi su te stesso. E lo strano consiglio «se uno ti colpisce su una guancia, tu porgi l’altra»? Non mettetelo in pratica alla lettera: va capito, e non obbedito ottusamente. Qui non è questione di guance. Vuol dire invece: se uno colpisce un aspetto, una Phe, un volto che TU RITIENI DI AVERE, E IN CUI ORA TI IDENTIFICHI, è perché occorre che tu scopra il tuo altro volto, che da troppo tempo tenevi nascosto a te stesso. Ebbene, i nostri settantadue Angeli sono appunto i tuoi settantadue volti: e – spiega l’Angelologia – se ti riconosci in ciascuno di essi, e se capisci, dalle facoltà di ciascun Angelo, come usare tutti i tuoi volti al meglio, hai una sorte invidiabilissima. Se invece in qualcuno di essi non ti vedi, vuol dire che corri il rischio che prima o poi la realtà o qualche provvidenziale nemico ti diano uno schiaffo proprio lì.

Da Igor Sibaldi - Istruzioni per gli Angeli e Gabriele Levy - Alfabeto ebraico

domenica 29 dicembre 2013

PhuWiY'eL (dal 27 al 31 Dicembre) 2' parte

Peh in ebraico significa «la bocca», e la lettera peh, nell’alfabeto geroglifico, è anche il simbolo del viso che si rivolge agli altri, per parlare, per esprimere, per mostrare la propria bellezza. Il viso dei Phuwiy’el, per lo più, vorrebbe invece volgersi via da un mondo umano che a loro appare irrimediabilmente brutto, ostile e ottuso. Il loro Angelo è maestoso, parente stretto di Haziy’el e Yabamiyah: e proprio come questi due, dona ai suoi protetti una vista acuta, una mente limpida, un animo immune da illusioni e libero da brame di conquiste, di carriera. Li abbiamo chiamati Angeli dei Re: di chi nasce già re; e di tale regalità tocca in sorte ai Phuwiy’el l’aspetto più difficile: l’acuta percezione della differenza tra l’armonia che abita in loro, e il caos che perturba e annebbia le vite degli altri. Quanta gente intorno a loro si spreca in lotte inutili, meschine, e desidera banalità, e crede in sciocchezze, e non sa e non vuol sapere, e non si ferma mai a riflettere! «Non mi ascolteranno, non capiranno mai», pensa il Phuwiy’el, e stringe le labbra, e i suoi occhi osservano come da un’immensa lontananza. In quest’espressione, d’altra parte, la sua bellezza appare ancora più intensa: l’aristocratico sguardo della Phuwiy’el Marlene Dietrich, freddo e struggente al tempo stesso, ne dà un’immagine perfetta e indimenticabile.
E pensare che potrebbero avere tutto: i Phuwiy’el dispongono di enormi doti e nulla impedisce loro di riuscire in ogni campo. «Ma perché?» si domandano. «A che scopo?» E rischiano di esitare sempre tra essere e non essere, come Amleto nel suo monologo. L’amarezza può diventare sconforto, e allora altro che Marlene Dietrich! Appaiono chiusi e incerti, votati all’esclusione e alla sconfitta, le loro labbra balbettano: il Phuwiy’el Paolo Villaggio ha interpretato appunto questa variante nei suoi personaggi famosissimi, Fantozzi in particolare. Oppure sprofondano in un solitario pessimismo, alla maniera d’un Giovanni Pascoli, Phuwiy’el anche lui, tanto innamorato delle ferite che il mondo gli aveva inferto. O ancora, quando l’amarezza vuol farsi valere e magari prendersi rivincite sul mondo deprimente, possono mostrarsi presuntuosi e scostanti, e squadrarvi dall’alto in basso, come delusi a priori da voi e da chiunque.
Sono, queste, tendenze quasi irresistibili nei Phuwiy’el: ma è bene che facciano leva su quel quasi, e si impegnino a trasformarle. Le potranno volgere fruttuosamente nel loro contrario, in particolar modo se decidono di specializzarsi in una qualunque attività che riguardi il viso, la voce e più in generale l’espressione, e più in generale ancora la bellezza; oppure la bocca, i denti, l’alimentazione. Proprio le difficoltà che i Phuwiy’el hanno dovuto affrontare fin da piccoli nel rapporto con gli altri, forniscono loro competenze di prim’ordine per la professione, per esempio, di esperto della comunicazione: dal docente in una scuola di giornalismo, di canto, di recitazione, al logopedista, all’otorinolaringoiatra. La loro bellezza interiore può ispirarli potentemente in tutti i campi legati all’estetica. E quanto ai denti e alla nutrizione un famosissimo Phuwiy’el fu Louis Pasteur, che introdusse nella conservazione dei cibi il processo che da lui prese il nome; e scoprì anche l’antidoto per la rabbia, trasmessa, com’è noto, dai morsi. Le predisposizioni puwieliane favoriscono, infatti, anche lo studio dell’immunologia, dell’epidemiologia, della prevenzione: di tutte quelle scienze e tecniche, insomma, che mirano a difendere l’organismo da ciò che nel mondo è infetto. I Phuwiy’el sono abbastanza generosi da potersi dedicare agli altri in questi campi, anche se, non avendo Energia Yod, sarà più prudente che preferiscano la ricerca alla pratica medica. Va notato inoltre che tra i pericoli che minacciano la loro salute, proprio le infezioni sono al primo posto: dunque, quanto più sapranno sull’argomento, tanto più robuste saranno anche le loro difese in quella direzione.
Se poi dovesse capitare loro di entrare a far parte di una reggia o qualcosa di simile, con l’indole regale che hanno vi si troverebbero perfettamente a loro agio: non tengono alla carriera, come dicevo, ma potrebbero incontrare un compagno che abbia una carica di grande rilievo, e come consiglieri e ispiratori darebbero il meglio di sé (nel suggerire a fior di labbra), specialmente se ciò che il loro partner dirige contribuisce a migliorare l’aspetto e il livello culturale della gente. Madame de Pompadour era una Phuwiy’el, e non solo fu utilissima a Luigi XV, ma seppe volgere la reggia in favore degli illuministi, ancora mansueti a quell’epoca. Non che si aspettino, i Phuwiy’el, che il mondo cambi davvero: il loro compito è e sarà sempre quello di rappresentare, o perlomeno di custodire in se stessi, un grado del sublime che la restante umanità non raggiunge ancora; ma, certamente, più lo faranno sapere in giro e meglio sarà per loro e per tutti.

Da Igor Sibaldi - Libro degli Angeli

Poyel, o Phuwiy’el, è il 56esimo Soffio e l'ottavo raggio angelico nel Coro venusiano degli Angeli Principati, nel quale amministra le energie della Luna. Il suo elemento è la Terra; ha domicilio Zodiacale dal 5°al 10° del Capricorno ed è l'Angelo Custode dei nati dal 27 al 31 dicembre. I sei Angeli Custodi del Capricorno sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati individui seri, dotati di pazienza e senso di responsabilità. Si tratta inoltre di persone ambiziose in senso positivo, in grado si portare a buon fine i loro progetti con silenziosa ponderazione
Il nome di Poyel significa “Dio che sostiene l'Universo"

Il dono dispensato da Poyel è l'insieme costituito da TALENTO, FORTUNA e MODESTIA.
Questo angelo è considerato latore dei doni della Provvidenza: domina sulla fortuna, la speranza e l'ottimismo. Poyel concretizza le energie della Luna, le forze inconsce che formano le immagini della nostra interiorità, ed è l'Angelo più generoso e seducente, assegnato a coloro che ne hanno meritato la guida agendo bene nelle vite precedenti. Egli offre ai suoi protetti i doni più preziosi, recando in sé le energie di Venere (Bellezza e Salute), di Urano (Amore) e di Giove (Abbondanza e Potere). Tutto questo è offerto a queste anime perché esse possano proiettarlo all'esterno, facendo partecipi gli altri della loro piena realizzazione. Secondo Haziel questo Angelo elargisce a pioggia un’autentica profluvio di ricchezze, bellezza e armonia, tramite la fonte ineffabile dei nostri sentimenti; egli d'altronde ha il compito di sbloccare sentimenti cosmici, per metterli a disposizione dell’individuo. Questi pertanto sarà educato, raffinato, compito, non per costrizione o formazione, bensì per un suo modo di essere innato (...); darà prova di notevole perizia in tutte le attività nelle quali i sentimenti costituiscono un fattore di portata determinante; sarebbe errato, tuttavia, parlare in termini di vocazione, giacché la Volontà del soggetto sarà in qualche misura orientata dalla forza dell’amore irraggiata da un Angelo mirabile quale è Poyel.
Ma, aggiunge, l'azione dell'angelo potrà essere ritardata da qualche attaccamento che àncora la persona al mondo interiore delle sue radici o dell'infanzia; soprattutto alla madre, a cui questi nati potranno rivolgere un amore così intenso da creare un ostacolo all'aprirsi verso l'esterno, all'amore adulto. La preghiera a Poyel è lo strumento in grado di sbloccare questi sentimenti.  Secondo Sibaldi questo blocco si può anche descrivere come una paura di affrontare la bruttezza del mondo, e rappresenta invece lo sprone a guardare più profondamente in se stessi.
 
Qualità di Poyel e ostacoli dall'energia "avversaria"
Le qualità che sviluppa Poyel sono tutte quelle derivate dalla modestia e dalla moderazione; semplicità, sicurezza, una consapevolezza dei propri limiti, l'umiltà capace di espandere la conoscenza e andare in aiuto agli altri. Dona la capacità di dominare i propri lati oscuri; elargisce buonumore, ottimismo, allegria; carattere conciliante, portatore di pace e tranquillità. Concede amore, salute, ricchezza, erudizione, senso dell'umorismo. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Igurim e rappresenta il blocco, l'immobilità. Causa orgoglio, ambizione smisurata, noncuranza, pessimismo, paura; situazioni bloccate.
Meditazione associata al Nome: dissipare la rabbia
La meditazione associata a Poyel si chiama “dissipare la rabbia". Secondo la Kabbalah, infatti, questo Nome fornisce lo strumento meditativo più efficace per liberarsi di riferimenti, persone o situazioni che,  come idoli che incatenano, dominano il nostro comportamento facendoci sentire compressiMeditazione • Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione: invocando il potere di questo nome rimuovo il potere e il fascino degli idoli che controllano il mondo. Dal mio cuore purificato dalla rabbia ora sgorgano la mia felicità e la pace della mente.

 
Esortazione angelica
Poyel esorta a rendere partecipi gli altri e il mondo delle proprie ricchezze interiori: a cercare in sè le forze inesauribili che scaturiscono dalla fiducia e dall'amore e a effonderle, in azioni e parole nel mondo, come fa la fonte che dona la propria acqua. 


PhuWiY'eL (dal 27 al 31 Dicembre)

peh-waw-yod
L'Angelo del vento
"LA MIA BOCCA SI CHIUDE PER L'INDIGNAZIONE"

CHIAVI: Avere tutto. Protezione contro il timore di farsi udire. Protezione contro le infezioni.

COSA TI CHIEDE: A te piace essere soltanto una persona con i piedi per terra? Perché?

"E' la parte di te che riassorbe ciò che genera: Non sa alimentare nessun desiderio suo, nessuna idea. E' ciò che in te non vuole mai nulla sul serio, perchè nulla ai suoi occhi vale la pena per lei. E' come se avesse già tutto, in una sovrana indifferenza alla solitudine. Eppure se sai vederla e usrla, ti dà infallibile lucidità, superiore a qualsiasi emozione. Non vi è miglior critico: vede sempre l'orizzonte intero, e ogni inganno.
E' come un bosco di specchi: personaggi che sono parti di te e di ognuno. Tu sei stato sei o puoi essere tutti questi destini. Se impari a vederli li integri in te e non ti intralciano più."

Da Igor Sibaldi - L'arca dei nuovi maestri.

venerdì 27 dicembre 2013

MeBaHiYaH (dal 22 al 27 Dicembre) 2' parte

Come tutti i Principati, anche Mebahiyah conferisce ai suoi protetti grande energia e abnegazione, idealità e tenacia, vivace immaginazione e acuta sensibilità per i valori etici: in più, li munisce di una mente lucida, metodica, coraggiosa, estroversa. È tutto quel che occorre per intraprendere opere grandi e nuove, senza lasciarsi intimidire né da quel che già esiste, né dalle resistenze che il nuovo incontra sia nei singoli individui, sia nella società intera: così che risulterebbe del tutto legittima, dal punto di vista dell’angelologia, la tradizione secondo cui dovettero essere questi i giorni in cui nacque Gesù di Nazareth.
Il 26 nacque anche Mao Zedong, nel cui destino prevalse nettamente la letteramem, che in geroglifico è anche l’immagine della forza coesiva, della capacità di riunire i molti e di imporre loro norme, che in un Mebahiyah non possono che essere rivoluzionarie. Il 25 nacque Sadat, che perse la vita per aver voluto cercare un accordo tra Egitto e Israele: cosa che – lui lo sapeva benissimo – sarebbe stata intollerabile per il mondo arabo; ma tipico dei Mebahiyah è il mettere in conto il martirio, quando credono in qualcosa, e senza batter ciglio.
Le altre due lettere del Nome dell’Angelo, beth he, che raffigurano un profondo aprirsi dell’animo all’ispirazione, alla scoperta dell’invisibile, improntano invece la vita di Nostradamus (nato il 24), che esplorava il futuro, e di Champollion (il 23), che giovanissimo decifrò i segreti dell’antica lingua egiziana: e si noti come nell’uno e nell’altro trovi alimento anche la dimensione sistematica, normativa della mem: in Champollion, nella ricostruzione di un’intera lingua antica; in Nostradamus, nell’ampio, arcano disegno metastorico che le Centurie intendevano costituire.
Ciò che invece non trova appiglio nell’animo dei Mebahiyah è l’elementare logica del guadagno: la prospettiva di accumulare denaro non solo non li stimola, ma li infastidisce addirittura. Traggono slancio dall’altezza dei loro ideali, dalla tensione che occorre per raggiungerli, dall’immagine eroica che in tal modo possono avere di sé: con la conseguenza che quanto più disinteressata è una loro impresa, tanto maggiori finiscono per l’esserne anche gli introiti – e viceversa, quanto più si sforzano di preoccuparsi del tornaconto, tanto meno riescono a impegnarsi in ciò che fanno. «Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste altre cose vi saranno date in aggiunta», come diceva appunto Gesù, in perfetto stile mebahista. Si avverte, in questo loro snobismo economico, una profonda esigenza di libertà, una ricerca dell’assoluto: e proprio questo è l’unico vero bisogno dei Mebahiyah, a cui tutti gli altri loro bisogni più concreti vengono sacrificati volentieri.
In ciò può certamente consistere la loro forza principale, quando riescono a osare e a farsi valere nella loro professione, o missione (i due termini devono diventare sinonimi per i Mebahiyah, perché il loro cuore sia in pace); ma talvolta si trova qui anche il loro punto più debole, per quanto riguarda la vita privata. Tendono infatti, da un lato, a idealizzare i loro partner e amici, e dall’altro (appunto perché non sanno prestare orecchio ai propri bisogni) ad accontentarsi di troppo poco, e anche di persone troppo dappoco. Si lasciano così prendere al laccio e, tutti intenti nelle loro attività o presi dai loro scopi sublimi, non hanno né tempo né sufficiente concentrazione e volontà per riuscire a liberarsi. Si pensi alla trappola che, secondo la tradizione, Gesù si lasciò tendere da Giuda; o alla tragica infelicità coniugale del Mebahiyah Giacomo Puccini, che tanto a lungo desiderò, invano, sottrarsi ai ricatti di una moglie che non lo capiva (Puccini morì di cancro alle vie respiratorie, tipica malattia mortale di chi si sente prigioniero di una situazione). La sorte dei Mebahiyah sarebbe facilmente splendida, se solo riuscissero a incanalare almeno una piccola parte delle loro altissime aspirazioni nella vita quotidiana, e a impiegare, nel realizzarle, anche soltanto un infinitesimo delle loro doti organizzative. Il sublime, invece, li porta soltanto in alto, per lo più.
Del tutto comprensibilmente, può capitare che a un certo punto i Mebahiyah si stufino della pochezza di chi hanno intorno («Oh, generazione incredula e perversa! Fino a quando dovrò sopportarvi? » Matteo 17,17) e che magari, misurando in un momento cupo la larga differenza tra gli ideali del loro cuore e la dozzinalità del prossimo, siano tentati di considerare o quelli o quest’ultimo come insignificanti, e come insensato ogni tentativo di portare ideali al mondo. Si ha allora o il tipo di Mebahiyah eremita ed enigmatico (come Carlos Castaneda), o il tipo scettico, cinico, materialista, sarcastico o irritabile dinanzi a tutto ciò che riguardi la spiritualità o l’invisibile (Piero Angela, per esempio). Quest’ultimo è una specie di inversione che invece di forza d’animo, genera soltanto animosità; invece di valori morali, soltanto un po’ di moralismo, e come tutti i sistemi che adottiamo per difenderci da noi stessi, ne deriva una lunga, sottile spirale di infelicità più o meno segreta. Purtroppo è frequente. I Mebahiyah non invertitisi sono stati, in ogni epoca, fuori moda, e questa è una condizione che richiede caratteri molto robusti e una buona dose di genialità, per poterla reggere.
 Da Igor Sibaldi - Libro degli Angeli
Mebahiah, o Mebahiyah, è il 55esimo Soffio e il settimo raggio angelico nel Coro venusiano degli Angeli Principati, nel quale amministra le energie di Mercurio. Il suo elemento è la Terra; ha domicilio Zodiacale dallo 0 al 5° del Capricorno ed è l'Angelo Custode dei nati dal 22 al 26 dicembre. I sei Angeli Custodi del Capricorno sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati individui seri, dotati di pazienza e senso di responsabilità. Si tratta inoltre di persone ambiziose in senso positivo, in grado si portare a buon fine i loro progetti con silenziosa ponderazione
Il nome di Mebahiah significa “Dio eterno"

Il dono dispensato da Mebahiah è la LUCIDITA' INTELLETTUALE.
Mebahiah domina sulla morale e ispira un comportamento esemplare.Dice Haziel che questo Angelo stimola l’esteriorizzazione dei pensieri più nobili dell’individuo, quelli che egli stesso avrà elaborato. Ciò significa che la bellezza dei suoi pensieri dipenderà direttamente dalla qualità delle sue riserve mentali interiori. Se infatti il suo intelletto (ovvero il suo Corpus mentale) fosse colmo di contenuti mediocri o tetramente ambigui, l’Angelo stenterebbe a pervenire a esiti soddisfacenti. Ma colui che gli si affida pienamente si esprimerà con grazia e cortesia, e alla fine saprà estrarre dal Pensiero Divino (infuso dall’Angelo) la parte più preziosa; egli possiede il dono dell’immagine, ed il suo eloquio sarà percorso da esempi che faciliteranno la comprensione delle idee. Saprà dunque esprimersi con la parola e col ricorso ai simboli. In altre parole, che facciano i giornalisti o i politici, i protetti da Mebahiah potranno avere ascendente sui loro simili e, se metteranno l'intelligenza e il pensiero al servizio della verità e di progetti importanti, otterranno da lui piena riuscita. L'unione delle energie venusiane e mercuriali, infatti, fà si che l'energia di questo angelo porti fecondità (Venere) ed eloquenza (Mercurio); aiuta a lasciarci guidare dalla Grazia; infonde idee chiare e la capacità di regolamentare i desideri. Concede la facoltà di giudicare con lucidità e intelligenza accogliendo nuovi concetti senza pregiudizi.
Qualità di Mebahiah e ostacoli dall'energia "avversaria"
Le qualità che sviluppa Mebahiah sono creatività fisica e spirituale, ottimismo, comunicativa, riflessione prima dell’azione; spirito caritatevole e generoso; forza morale. Concede consolazione ed esaudisce coloro che desiderano avere figli. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Maggid e rappresenta la diffidenza infondata. E' nemico della rettitudine, ispira rifiuto della visione interiore e della spiritualità; causa bestemmia, menzogna, ipocrisia, volgarità, frode.
Meditazione associata al Nome: pensiero in azione
La meditazione associata a Mebahiah si chiama “pensiero in azione”.Secondo la Kabbalah questo Nome fornisce lo strumento meditativo più efficace a contrastare quei blocchi per cui i nostri pensieri non si realizzano mai e vengono rimandati; l'entusiasmo si spegne; o semplicemente ci arrendiamo; si rivela dunque estremamente utile per le persone che vedono la vita bloccata, o per quei periodi della vita in cui ci sembra che tutto stia stagnandoMeditazione • Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione: Per il potere di questo nome si riconnettono i Mondi superiori e quelli inferiori; tutto riprende a scorrere; trovo il coraggio e il coinvolgimento per raggiungere i miei scopi e realizzare i miei sogni. I miei pensieri si realizzano e le mie idee migliori si trasformano in azioni, e dunque in risultati concreti.
Esortazione angelica
Mebahiah esorta ad andare alla ricerca del divino nelle più piccole cose del quotidiano: in ciò che è semplice, umile e spesso trascurato si nascondono tesori e pulsa la vitalità dell'intero universo; in piena fiducia, coltivando la fede, si scoprirà che dalle piccole cose nascono le grandi. Che noi abbiamo enorme potere sul mondo ed è nostro compito seminare, con la stessa fiducia, gli ideali che possono rinnovare noi stessi e la realtà intorno. 


MeBaHiYaH (dal 22 al 27 Dicembre)



 mem-beth-he

L'Angelo di chi non rispetta il denaro
"IO PLASMO E PRODUCO FORZE SPIRITUALI"

CHIAVI: La scoperta e la diffusione di idee nuove. Fortuna nelle imprese disinteressate. Grande energia. Tenacia. Slancio ideale. Protezione contro lo sconforto.

COSA TI CHIEDE? Quanto ti pesa, quanto ti blocca il significato che dai al denaro?

"E' la parte di te che vive per guadagnare enormi somme di denaro: ma non per sé. Ed è nata per attirare l'attenzione della gente: ma non su di sé. Per riuscirci deve imparare a considerarsi solo un mezzo. Da quando smette di voler salvare se stessa, sboccia e muove l'interesse di molti e fiumi di denaro verso grandi cose. Se non ricomincia a occuparsi di sé, è perfetta.
I raggi di una stella vanno tutti in direzioni opposte, e in questo voi siete proprio come le stelle. Questa è la parte che in voi genera ricchezza e successo. Se non la vedi, genera solo aggressività o bisogno di consolarsi. La vedi?"

Da Igor Sibaldi - L'arca dei nuovi Maestri

sabato 21 dicembre 2013

NiYiTa'eL (dal 17 al 22 Dicembre) 2' parte

L'Angelo dello spiccare il volo
Fu proprio un 17 dicembre, centoquattro anni fa, che il biplano dei fratelli Wright decollò su una spiaggia brumosa, e per una decina di secondi solcò incredibilmente l’aria. L’era del volo a motore non sarebbe potuta cominciare sotto migliori auspici celesti: Niyitha’el è l’Angelo dei nuovi cammini. I suoi protetti guardano impazienti sia il proprio orizzonte interiore, sia gli orizzonti di cui il loro tempo si è accontentato, e fin dove giunge lo sguardo non trovano nulla che dia senso alla loro vita. È come se ciò che la gente già sa intralciasse la visuale dei Niyitha’el; le certezze li opprimono, non c’è posto, nel loro animo, per cose come la stabilità, il senso di sicurezza, di protezione. Guido Gozzano era Niyitha’el, e ciò che lo rende tanto incantevole in certe sue famose liriche – scritte negli stessi anni degli esperimenti dei Wright – è proprio quel suo modo di guardare alla quieta vita borghese come a un oppio, o addirittura a un veleno, dolciastro e mortale, con cui tanti si suicidano e lui no:
«Dove andrà?» – «Dove andrò? Non so… Vïaggio.
Vïaggio per fuggire altro vïaggio…
Oltre Marocco, ad isolette strane,
ricche in essenze, in datteri, in banane,
perdute nell’Atlantico selvaggio…»
La signorina Felicita                     
Viaggiare! Compose un libro di liriche sulle farfalle (poter volare!) e poi partì per l’India, per contemplare le montagne più alte del mondo. I Niyitha’el non possono che sorridere, riconoscendo nella sua opera poetica tutta la gamma emozionale di quelle esitazioni che possono trattenerli anche per decenni, prima del decollo – come risulta anche, in versione pop, dalla canzone più memorabile della Niyitha’el Gigliola Cinquetti, Non ho l’età. E quando finalmente decidono di averla, l’età, allora partire, per loro, è smettere di morire. Diventano d’un tratto i massimi esperti della Provvidenza, che com’è noto assiste e finanzia soltanto chi si mette in gioco. Scoprono in se stessi un’energia tanto più strabiliante quanto più si lasciano indietro qualche limite: La Terra il Mare il Cielo l’Universo per usare un altro verso gozzaniano, da In morte di Giulio Verne. Si pensi al Niyitha’el Steven Spielberg.
Gioiscono anche nel fermarsi, al di là di qualche confine appena superato – geografico, estetico o morale: non fa grande differenza per loro –, per dare lezioni di coraggio a chi non l’ha varcato: come Paul Klee, nell’arte astratta; o Jean Genet, con la sua vita di scandali. Non per nulla il loro santo è il Niyitha’el Thomas Becket, l’arcivescovo di Canterbury, che preferì farsi uccidere piuttosto che sottomettersi agli ordini del suo re. E fu il Niyitha’el Paracelso il primo a sostenere che i processi chimici sono gli stessi nel nostro corpo e nella natura (che voglia d’immenso!), e venne perciò sbeffeggiato dai colleghi nelle università d’allora; per tutta risposta, diede scandalo mettendosi a insegnare in lingua popolare – in tedesco – invece che in latino, allora d’obbligo. Viaggiò a lungo, fino in Russia, Asia e Africa, sempre insofferente di ogni autorità. Alterius non sit, qui suus esse potest, era il suo motto: non decida di appartenere a un altro, chi può appartenere a se stesso! Perfetto talismano contro la peggiore tentazione dei Niyitha’el, che è quella di placarsi, di non cercare più. Fino a che osano più di chi li circonda, anche i loro difetti possono risultare pregi: i modi provocatori, la testardaggine, l’ambizione, e addirittura la frettolosità con cui liquidano le opinioni altrui, non appena vi annusano tracce di conformismo…
All’opposto, questi difetti possono divenire altrettanti tormenti per loro stessi e soprattutto per gli altri, quando i Niyitha’el, invece di partire, rimangono, o invece di insubordinarsi si adeguano: la loro ambizione si trasforma allora in ansia, in terrore di perdere il poco che hanno (è sempre poco, per loro), e in gelosia, in invidia; la testardaggine, in stupidità; la voglia di provocare, in cinica rabbia, prodromo di depressione.
In buona parte di loro, tale trasformazione è d’altronde ciclica: l’umore cupo riappare ogni volta che rallentano, e svanisce quando ricominciano ad accelerare. Tutt’altro che facile è la loro vita sentimentale; il matrimonio, specialmente, li delude con grande rapidità. Deleterio è per loro qualsiasi lavoro fisso che non implichi, oltre ai viaggi, anche rischi o frequenti imprevisti. E guai ad averli come capi: la costanza e i compromessi che la carriera avrà loro imposto non potranno non averli incattiviti, e l’idea stessa di avere dei sottoposti – di doversi adattare ai tempi, ai limiti altrui – li farà sentire perennemente come aquile in trappola, disperate, penose.
 Da Igor Sibaldi - Libro degli Angeli
Nithael, o
 Niyathel, o Niyitha’el, è il 54esimo Soffio e il sesto raggio angelico nel Coro venusiano degli Angeli Principati, nel quale amministra le energie di Venere. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dal 25° al 30 ° del Sagittario ed è l'Angelo Custode dei nati dal 17 al 21 dicembre. I sei Angeli Custodi del Sagittario sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati persone leali, gentili, energiche e indipendenti, capaci di gestire il potere ma anche di essere generosi con i deboli gli oppressi; orgogliosi e impulsivi, questi nati sono anche pronti a dimenticare i torti. Nithael è anche l’ultimo fra gli angeli Principati che appartenga al gruppo dei 6 angeli della Costellazione del Sagittario: i quali, secondo Sibaldi, hanno anche la specifica caratteristica di essere accomunati da qualità molto simili tra loro, il che non si riscontra nelle energie angeliche di nessun altro segno zodiacale; è semmai molto raro che due Angeli dello stesso segno si somiglino. Questi 6 Principati, invece, sembrano essere una sorta di variazione sullo stesso tema esistenziale, che Sibaldi chiama "il Castello": quello che sembra rappresentato, fra 2 torri, nel pittogramma delle 3 lettere-radice del Nome di Vehuel (il primo dei Principati). E aggiunge che i Principati, appunto, sono gli Angeli della Bellezza: Dante, nel pieno rispetto della Qabbalah, li colloca nel terzo cielo del Paradiso, quello di Venere. La bellezza è quel qualcosa che si coglie nelle forme, ma che supera le forme stesse: e tutti i loro protetti sembrano appunto porsi, sul piano esistenziale, come "in alto" rispetto agli altri, in quanto cercano in se stessi una forma di identità più alta, più grande del semplice «io». Se per moltissimi che si accontentano di appartenere a un qualche «noi» (nazione, squadra, azienda, famiglia, religione, razza) l’«io» non è ancora nemmeno considerato, e per molti altri ancora l’«io» è un punto di arrivo (già riuscire a essere se stessi è una grande conquista), per i nati sotto questi angeli l’io è addirittura una porta, l’inizio di una via, oltre la quale sono impazienti di avventurarsi. Perciò il «noi» può annoiarli e opprimerli, così come fermarsi alla semplice accettazione e soddisfazione dell’«io». Il nome di Nithael significa “Re dei Cieli"
Il dono dispensato da Nithael è l'EREDITA'.
Nithael dispensa le energie di Venere nel coro venusiano dei Principati: è dunque un angelo pienamente venusiano, apportatore di Bellezza, arte e sensibilità; domina infatti sui talenti artistici ed estetici, viene considerato l’angelo che aiuta a percepire la nobiltà di cuore, e può anche dispensare una capacità di rigenerazione che aiuta a preservare in sè la giovinezza; dona centratura, capacità di accogliere gli altri, aiuta a conseguire celebrità e prestigio.  
Dice Haziel, infatti, che l'angelo Nithael infonde la bellezza, la delicatezza, la grazia, il senso artistico e tutti i poteri emanati dai Turbini di Vita della Colonna di Destra dell’Albero della Vita. I suoi protetti recheranno questi valori al mondo materiale, che grazie a loro li rifletterà in modo splendente, abbagliante, perché questo Angelo accorda ai suoi protetti il comando sulle Forze Spirituali di questa Colonna. E' il potere di cui disponeva il Re Salomone. (...) assicura l'amicizia delle persone fortunate, che favorisce la prosperità in generale, morale e materiale. Si può dire anche che Nithael sia l'angelo del denaro, inteso come potere sociale e mondano. La persona (...) amerà dunque le cose belle e l'eleganza. Ma purtroppo non tutti comprendono la vera natura di questi doni, che sono solo simbolo e riflesso di beni più splendenti, e vanno utilizzati per portare benessere comune e luce spirituale. Può dunque capitare che molti nati sotto questo Angelo la fraintendano, finendo per attaccarsi così ai beni materiali e alla loro conservazione, ed è in tale congiuntura, prosegue Haziel, che l'Angelo dell'Abisso contrario a Nithael ha la possibilità di esercitare il proprio influsso negativo.Qualità di Nithael e ostacoli dall'energia "avversaria"
Le qualità che sviluppa Nithael sono rispetto dei valori, amore per la Legge e la legalità, galanteria, tenerezza, sentimenti religiosi, nobiltà d'animo, dolcezza, gioia, stabilità, prestigio, eloquenza. Concede fama attraverso le proprie opere, reputazione nel mondo scientifico e dell'arte, benevolenza e favori accordati da persone autorevoli o dalle autorità dello Stato. Accorda inoltre protezione dai pericoli, aiuto divino nelle difficoltà e la capacità di portare aiuto ai sofferenti.L’Angelo dell’Abisso a lui contrario a Nitahel si chiama Omet e rappresenta l'astio contro l'autorità e chi la detiene, dunque anche astio o invidia contro chi detiene mezzi e poteri. Causa rovesci di fortuna, attaccamento, invidia, rovina, rivoluzioni e illegalità, nonché distruzione dei rapporti, sconvolgimenti in ogni campo della vita degli uomini. 
Meditazione associata al Nome: la morte della morte
La meditazione associata a Nithael si chiama “la morte della morte”. Secondo la Kabbalah questo Nome fornisce lo strumento meditativo più efficace a contrastare nella propria vita il senso di morte, l’angoscia e il blocco che in un determinato momento della vita può essere collegato a qualcosa che finisce. Il potere della morte non si limita infatti al corpo fisico. Essa si manifesta anche nei processi della vita, ad esempio nella fine di un'amicizia, nel fallimento di un'impresa, nello scioglimento di un matrimonio. Quando le cose finiscono, o cose buone corrono il rischio di finire, questo Nome caccia la morte.Meditazione • Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione: Per il potere di questo Nome focalizzo ora la mia attenzione e medito con totale adesione e certezza sull'assoluta e definitiva scomparsa dell'angelo della morte.Esortazione angelica
Nithael esorta a riconoscere, nei beni e nelle gioie terrene, il riflesso della Bellezza divina; a non temere la morte e la fine dei beni, consapevoli che la vita si estende ben oltre le percezioni fisiche: esorta alla gratitudine per la Bellezza, a invocare per tutti una felicità fatta di potere e di splendore, a prodigarsi in prima persona, tramite i propri talenti, per diffondere la bellezza nel mondo. 







NiYiTa'eL (dal 17 al 22 Dicembre)

 nun-yod-thaw

L'Angelo dell'esodo
"IL MIO AGIRE E' FRUTTUOSO QUANDO GUARDO OLTRE CIO' CHE GIA' C'E' "

CHIAVI: Protezione contro la rassegnazione. Lungimiranza. Protezione contro l'esitazione, la pusillanimità e il timore delle novità.

COSA TI CHIEDE: Pensi ancora che il tuo "io" e i tuoi desideri siano più piccoli dello Stato in cui risiedi?

"Sono dei distruttori. Come a certi dà gioia innamorarsi o creare, così loro dà gioia veder crollare le cose, le rovine li placano; anche la loro stessa rovina: amano sentirsi periodicamente perduti. Se osassero accorgersene, nessuno meglio di loro saprebbe distruggere ciò che è inutile, nessuno avrebbe maggior coraggio. Se no, quanto tempo fanno perdere."

Da Igor Sibaldi - L'arca dei nuovi Maestri

martedì 10 dicembre 2013

'IMaMiYaH (dall'8 al 12 Dicembre)


MA TU, QUANTI ANNI TI DAI?

Un confortante esercizio per affrontare l'impegnativa energia 'IMaMiYaH(dall'8 al 12 Dicembre)


Ognuno ha l'età che si sente di avere: quindi è bene che tu precisi un po' il tuo modo di sentire. Quanti anni ti dai? E attenzione prima di rispondere: non è questione di qualche anno in più o in meno; quando si tratta di SENTIRE l'età, la faccenda è più delicata, e fa rapidamente emergere il fatto che gli anni non possono venir sommati tutti tra loro come se fossero chili di mele. C'è anno e anno, anche se ufficialmente ciascuno ha sempre trecentosessantacinque giorni circa. Certi anni sono stati più lunghi, altri contano zero: quelli, per esempio, in cui non siamo stati affatto noi stessi. Li hanno vissuti altri al posto nostro, o semplicemente sono passati senza che nessuno li vivesse, vuoti, inutili, quindi vanno sottratti dal totale e considerati a parte. Intanto, somma tra loro soltanto quelli buoni, di primissima scelta, e ottieni la tua età vera, l'ammontare, diciamo, del tuo conto corrente nella banca dell'esperienza. Gli altri invece, gli anni scadenti, sono quelli ancora da riscuotere: bonifici di energia spiccati a tuo nome dall'Albero della Vita, ma mai arrivati al destinatario. C'è da augurarsi che non siano pochi. Rappresentano nientemeno che il tuo potenziale creativo, i finanziamenti interiori di cui puoi disporre per le tue grani imprese. Li si riscuote
sottoforma di INTENSIFICAZIONE DEL TEMPO, moltiplicando il valore e la qualità di ogni minuto che vivi, come se ognuno fosse tre, dieci venti. E ci sono anche da
calcolare gli interessi!

lunedì 9 dicembre 2013

'IMaMiYaH (dall'8 al 12 Dicembre) 2' parte

Il compito degli ‘Imamiyah è uno dei più difficili e scomodi dell’intero panorama angelologico. È l’Angelo dei prigionieri (quella doppia mem, nel Nome, è anche l’immagine di una doppia cinta di mura), degli schiavi, di chi ha attorno a sé un nemico soverchiante: e a capo del nemico, sulla porta del carcere, sta l’inganno, l’ayin, l’apparenza che nasconde solamente il nulla. Gli ‘Imamiyah devono imparare e insegnare ad accorgersi di quanto la vita dei loro simili venga a trovarsi spesso in una situazione del genere. La gente comune non lo vede, o se anche lo vede non vuol farci caso. Così, per esempio, né l’Occidente né gran parte della popolazione sovietica voleva accorgersi di quanto orribili fossero certi aspetti dello stalinismo e del poststalinismo, quando un fervido ‘Imamiyah come Solzenitsyn metteva a rischio la vita per denunciarli. Una lunga educazione all’accorgersi delle proprie schiavitù psicologiche e religiose sono anche i libri dello ‘Imamiyah Osho, che venne avvelenato – si dice – per aver scardinato troppe porte di quelle prigioni.
Agli ‘Imamiyah, dicevo, tocca in sorte innanzitutto imparare in che cosa consista l’oppressione: e questa è naturalmente, per la maggior parte di loro, la parte più dura. Pochi hanno la fortuna o l’accortezza di cominciare presto a interessarsi di ossessioni, fissazioni, fobie, sensi di colpa e vittimismo (dei più frequenti carcerieri, cioè, dell’uomo contemporaneo) e di armarsi preventivamente contro di essi. In genere, lo ‘Imamiyah si trova a sperimentare tutto questo di persona: e per anni è costretto, per la sua stessa sopravvivenza, a fare i conti con pesanti fantasmi della propria mente; o magari con gli incubi e le angosce di persone a lui vicine; oppure a subire situazioni di grande solitudine, di incomprensione, di marginalità. Scopre in tal modo che cosa significhi ritrovare se stessi, lottare, difendersi. Accumula ed esercita in questa scoperta un’immensa energia e finalmente – se tutto va bene – può cominciare a fare da guida ad altri.
A volte è già piuttosto tardi, per lui, e certi ‘Imamiyah somigliano all’abate Faria ne Il conte di Montecristo: la poetessa Emily Dickinson, per esempio, che mai poté uscire dal suo villaggio natale, e le cui opere vennero pubblicate solamente postume. Altre volte il duro periodo di apprendistato li segna profondamente, e li rende individui cupi, aggressivi, impulsivi, distruttivi spesso, con anche la tendenza a imporre ad altri rapporti di dipendenza – come per un triste risarcimento, o per una brutta piega rimasta dai tempi delle loro personali schiavitù. Pressoché tutti, infine, appaiono emotivamente chiusi, sfuggenti, e guardano con un’ostilità sospettosa e sarcastica chiunque nel loro ambiente abbia pregi e prestigio – come se in qualche modo rubasse la scena a loro, che dopo così lunga maturazione interiore avrebbero tante cose da dire.
Ne hanno, infatti. Qualunque sia la loro professione, li anima un preciso desiderio di opporsi, più o meno direttamente, a ogni forma di limitazione o anche autolimitazione della dignità umana: cercano e spesso trovano oppressori da smascherare, situazioni ingiuste alle quali ribellarsi. Sognano onestamente la riconquista di un Paradiso perduto, per usare il titolo dell’opera più famosa di John Milton, un ‘Imamiyah anche lui. Come terapeuti sono abilissimi, come sindacalisti e attivisti politici sono spesso esemplari, e in qualsiasi apparato di controllo o nelle forze dell’ordine possono rivelarsi preziosi. Tutto dipende da quanto siano riusciti a liberare se stessi dai taglienti residui del loro istruttivo passato. Il più frequente dei loro rischi psicologici, quando cominciano a darsi da fare per gli altri, è l’idealizzazione eroica della propria figura: sentirsi troppo investiti di una missione non fa bene, agli ‘Imamiyah; il loro senso della realtà tende ad appannarsi, e mentre danno la caccia o aggrediscono un nemico, un oppressore (magari solamente presunto tale) o insegnano ad altri a liberarsi da plagi e prigionie, non si rendono conto di venir presi loro stessi per individui opprimenti; fu così per un ‘Imamiyah dei più cupi e sventurati, il generale Custer, nella cui mente, forse, non balenò mai l’idea che fosse lui il nemico degli indiani, ben più di quanto gli indiani fossero nemici suoi.
È necessario che si abituino a sorvegliarsi; che facciano il meno possibile di testa loro e trovino una causa, una Chiesa, un partito per il quale agire; e possibilmente che, tra tutte le armi per lottare contro le servitù, imparino a preferire l’ironia – che tra l’altro ha il vantaggio di potersi applicare, non appena sia necessario, anche contro chi la usa. Tutte queste cautele sono indispensabili per gli ‘Imamiyah, anche perché permettono loro di non eccedere nel senso di responsabilità personale: se agiscono in totale autonomia e si prendono troppo sul serio, tendono infatti a soverchiarsi di impegni e soprattutto di tensioni, fino a fiaccare la loro fibra fisica e nervosa.
Quanto agli ‘Imamiyah che non si sentono toccati da impulsi altruistici, il loro destino è tra i più cupi. Non solo restano bloccati nella prima fase della loro crescita interiore – nella scoperta dell’oppressione, appunto, e passano così da una prigionia all’altra, nei loro rapporti umani, e da una fase ossessiva all’altra, nei loro rapporti con se stessi – ma cresce e ribolle in loro un’astiosità tutta speciale, rancorosa, invidiosa. Sviluppano la tendenza a trovarsi dei capi, per poi rapidamente tradirli; a incensare un amico e conquistarsene la fiducia, per poi calunniarlo. E non vi è legame, nemmeno famigliare, che ben presto non appaia loro come una trappola da cui liberarsi. È, questa, l’ombra brutta del compito che avrebbero dovuto svolgere. È una compulsione, un altro carcere dunque, e vi è poco da fare, a quel punto: se non se ne liberano da soli, non ne verranno fuori mai.
Da Igor Sibaldi - Libro degli Angeli
'imamiah, o ‘Imamiyah, è il 52esimo Soffio e il quarto raggio angelico nel Coro venusiano degli Angeli Principati, nel quale amministra le energie di Marte. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dal 15° al 20° del Sagittario ed è l'Angelo Custode dei nati dall'8 al 12 dicembre.
I sei Angeli Custodi del Sagittario sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati persone leali, gentili, energiche e indipendenti, capaci di gestire il potere ma anche di essere generosi con i deboli gli oppressi; orgogliosi e impulsivi, questi nati sono anche pronti a dimenticare i torti. Secondo Sibaldi i 6 angeli del Sagittario hanno anche una caratteristica specifica: sono accomunati da qualità molto simili tra loro, il che non si riscontra nelle energie angeliche di nessun altro segno zodiacale: è semmai molto raro che due Angeli dello stesso segno si somiglino. Questi
Principati, invece, sembrano essere una sorta di variazione sullo stesso tema esistenziale, che Sibaldi chiama "il Castello": quello che sembra rappresentato, fra 2 torri, nel pittogramma delle 3 lettere-radice del Nome di Vehuel (il primo dei Principati). E aggiunge che i Principati, appunto, 
sono gli Angeli della Bellezza: Dante, nel pieno rispetto della Qabbalah, li colloca nel terzo cielo del Paradiso, quello di Venere. La bellezza è quel qualcosa che si coglie nelle forme, ma che supera le forme stesse: e tutti i loro protetti sembrano appunto porsi, sul piano esistenziale, come "in alto" rispetto agli altri, in quanto cercano in se stessi una forma di identità più alta, più grande del semplice «io». Se per moltissimi che si accontentano di appartenere a un qualche «noi» (nazione, squadra, azienda, famiglia, religione, razza) l’«io» non è ancora nemmeno considerato, e per molti altri ancora l’«io» è un punto di arrivo (già riuscire a essere se stessi è una grande conquista), per i nati sotto questi angeli l’io è addirittura una porta (la Hé!), l’inizio di una via, oltre la quale sono impazienti di avventurarsi. Perciò il «noi» può annoiarli e opprimerli, così come fermarsi alla semplice accettazione e soddisfazione dell’«io».
Il dono dispensato da Imamiah
 è l'AMNISTIA, o l'ESPIAZIONE.
Imamiah dispone del potere di armonizzare le energie di Marte (che rappresenta la forza e il lavoro), con quelle di Venere (che rappresenta l'amore, la dolcezza, la facilità). Se entrano in sintonia con lui, egli dona ai suoi protetti temperamento forte e spirito di sopportazione nelle avversità; guida a trovare la propria via tutti coloro che in buona fede cercano la verità. Dice Haziel che questo angelo accorda il piacere di ciò che è primordiale, l’anelito a quanto è divino; il desiderio di abbellire il mondo fisico e quello invisibile. Inoltre opera precipuamente sulle forme fisiche donando bellezza o fascino, come doti a garanzia di grazia e di successo. Dona la capacità di attingere la propria liberazione e compiere senza sforzo qualunque tipo di lavoro, successo nella vita sociale e nel soccorrere prigionieri o persone in situazioni difficili: Imamiah fa dei suoi protetti persone apportatrici di concordia, bellezza e armonia, capaci di dare alla Società tangibili attestazioni d’amore. L’energia dovuta a questo Angelo produce anche l’amore e la stima di sé, da cui discende la facoltà di essere stimati dagli altri.   
Il nome di Imamiah significa “Dio eleva al di sopra di tutto"

Qualità di Imamiah e ostacoli dall'energia "avversaria"
Le qualità che sviluppa Imamiah sono la propensione a riconoscere i propri errori, il saperli correggere e il riparare i danni causati. Dunque capacità di perdono, di rappacificarsi con i propri avversari, di soccorrere gli altri nelle difficoltà. Rigore, laboriosità, fede e senso del servizio, pazienza, coraggio, umiltà, semplicità. Tramite l'Invocazione è possibile ottenere da Imamiah, oltre a tutti i suoi i doni, liberazione dei prigionieri, viaggi utili e dilettevoli; inoltre la protezione da persone ostili, purché si sia nel giusto, oppure sinceramente pentiti per errori che hanno condotto all'ostilità. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Bacaron e rappresenta il desiderio sterile di rivalsa. Ispira orgoglio e animosità; causa limitazioni alla libertà, situazioni bloccate e senso di oppressione. Le distorsioni in cui, a causa sua, possono incorrere le personalità Imamiah sono instabilità e iper reattività emotiva, amore competitivo, relazioni troppo passionali e deviazioni sessuali, rigidità orgogliosa, intransigenza, severità eccessiva e conflittualità. 
Meditazione associata al Nome: passione 
La meditazione associata a Imamiah si chiama "passione": secondo la kabbalah infatti questo nome accende l'ardore. Per accedere davvero al potere della preghiera, abbiamo bisogno innanzitutto di un fuoco che ardendo nel cuore alimenti il fuoco dell'anima; come quello che alimentava l'Himamiah Emily Dickinson. Queste lettere (ayin-mem-mem) danno il potere di connettersi spiritualmente in modo sincero e secondo la giusta coscienza, sapendo guardare oltre le apparenze che limitano l'orizzonteMeditazione • Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione: per l'enegia di questo Nome si alimentano le fiamme della passione nel mio cuore e nella mia anima. Il potere di queste lettere mi trasmette la forza della sincerità, devozione e corretta coscienza nelle mie preghiere, meditazioni e connessioni spirituali.

Esortazione angelica
Imamiah esorta a osservare se stessi in profondità, cercando di comprendere i propri cambiamenti e dunque il vero significato che hanno le esperienze cui andiamo incontro e le conseguenze che determinano nella nostra vita. Guardando oltre le apparenze invita a prendere coscienza dei propri talenti e con fiducia a metterli al servizio del mondo e degli altri, senza eccedere nelle certezze, sempre attenti a mantenersi indulgenti ed aperti. 
spira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione: per l'enegia di questo Nome si alimentano le fiamme della passione nel mio cuore e nella mia anima. Il potere di queste lettere mi trasmette la forza della sincerità, devozione e corretta coscienza nelle mie preghiere, meditazioni e connessioni spirituali.

'IMaMiYaH (dall'8 al 12 Dicembre)

ayin-mem-mem

L'Angelo dei prigionieri
"Le apparenze limitano l'orizzonte"

CHIAVI: Ritrovare il giusto cammino e se stessi. La liberazione dalla servitù, dalla prigionia e dai nemici. La liberazione dai cattivi compagni. La liberazione dalle proprie inclinazioni malsane. Fortuna nei luoghi lontani.

COSA TI CHIEDE? In cosa sei "Israele" e in cosa sei "stupido" *

"E' la parte di te che nasconde troppo ciò che ama: troppo, in magazzini segreti che diventano prigioni. La sua vita, il suo volto possono divenire carceri, in cui sta rinchiusa. A volte ne dà la colpa agli altri, e fantastica, invidia, sogna rivali e coltiva progetti insensati. A volte semplicemente non sa, fugge: una barca e il mare le darebbero allora qualche felicità. Riconoscere questa tua parte è la prima vittoria indispensabile per non temere la paura. E' la migliore maestra, nella psicologia."
Da Igor Sibaldi - L'arca dei nuovi Maestri

*"Ciò che le Scritture chiamano "Israele" è il simbolo di chiunque sia scontento dei suoi simili, di sé e, in fondo, di tutto ciò che c'è già, e pone la propria scontentezza sopra a ogni altra cosa, perché sa che non c'è altro modo di crescere e scoprire cose nuove.
"Stupido" deriva dal latino "stare", cioè "rimanere fermi", e indica l'atteggiamento di chi davanti a una qualche situazione sta appunto dove l'hanno messo: immobilizza la propria mente, non si accorge ,non domanda, rimane tale e quale a com'era prima."
Da Igor Sibaldi - Agenda degli Angeli

giovedì 5 dicembre 2013

HaHaSiYaH (dal 3 al 7 Dicembre) 2' parte

"If you can dream it, you can do it!
Vi è un’intima parentela tra questo Principato e gli sprezzanti Wehewu’el (dal23 al27 Novembre): anche gli Hahashiyah amano la solitudine e la contemplazione, e scuotono tristemente il capo guardando la società dall’alto della loro invisibile torre interiore. Sanno che molto difficilmente l’umanità migliorerà; sospirano pensando a come le immense e luminose doti dei bambini siano quasi sempre destinate a scomparire con l’età adulta, perché il mondo è troppo guasto per apprezzarle e farle fiorire. Ma gli Hahashiyah non hanno alcuna intenzione di rassegnarsi a questo stato di cose: lo prendono piuttosto come una sfida ai loro ideali di bellezza e di verità, e lottano per destare ciò che di meglio vi è nei loro simili. Certo, non sono esattamente dei vincitori, nel senso in cui il mondo intende di solito questa parola: non arriva mai, per loro, il momento in cui sentono di aver adempiuto al loro compito e di potersi concedere una felice ricompensa. Non lo desiderano nemmeno; è come se il loro animo guardasse sempre oltre: la tensione, la voglia e la fatica di raggiungere mete sempre più alte e grandi valgono, per loro, infinitamente più di qualsiasi soddisfazione o applauso. È la loro tenace Energia Yod ad animarli in tal modo: sono medici all’opera per guarire il destino di tutta la loro epoca – e perdere tempo a rallegrarsi per qualche successo inevitabilmente momentaneo va contro i loro solidissimi principi.
Ciò ha talvolta l’effetto di renderli antipatici a molti, e in particolar modo a chi lavora con loro o per loro. Corrono il rischio di apparire troppo ambiziosi ed esigenti, intolleranti, maniacali anche; accade che li si veda come veri e propri esaltati e che si parli di loro in termini orribili. Ma è bene che gli Hahashiyah non ci facciano caso: si infurierebbero davvero, se no, vedendo tanto fraintesa la loro dedizione agli ideali; e il loro amore per l’umanità potrebbe tutt’a un tratto trasformarsi in odio e in depressione. È quel che avvenne, per esempio, al Hahashiyah Walt Disney, che – pochi anni dopo avere inventato Topolino e Paperino per la gioia dei bambini di tutto il mondo – in qualche suo accesso di tristezza si vendicò dell’incomprensione di alcuni collaboratori licenziandoli brutalmente, e denunciandoli, pare, all’FBI come pericolosi estremisti di sinistra.
Gli Hahashiyah imperturbabili, solitari, appassionati, sono bensì individui meravigliosi. Sono capaci di guardare sempre oltre in molti sensi. Sanno per esempio scorgere negli altri qualità che chiunque ignorerebbe, e sanno destarle, anche, come il Principe Azzurro desta Biancaneve: così l’Hahashiyah Joseph Conrad costruì uno dei suoi personaggi più celebri, Lord Jim, mostrando come un vigliacco possa scoprire in se stesso una vocazione di eroe. Sanno anche intravvedere nel futuro possibilità inaudite, come se davvero scrutassero lontano da una torre; e riescono perciò a sperimentare, osare, realizzare quelli che a tutti sarebbero sembrati sogni impossibili: si pensi ai capolavori dell’Hahashiyah Bernini o, di nuovo, al motto prediletto di Disney: «If you can dream it, you can do it!» E soprattutto non temono di esplorare remote e strane regioni spirituali: hanno per loro natura quel dono che i religiosi chiamano «rivelazione»: quando sono all’opera, cioè, quando creano o quando insegnano (sono infatti anche ottimi insegnanti), capita spesso che si accorgano, improvvisamente, di sapere e di aver detto qualcosa di molto importante, che non avevano mai imparato e a cui non avevano mai nemmeno pensato prima. Se non si lasciano intimidire da questi prodigi, possono sviluppare un talento di occultisti o di mistici: devono soltanto affinare il loro bisogno di conoscenza – raffigurato nella lettera shin, nel Nome del loro Angelo – e abituarsi a quella sensazione che ne proviene, simile a un vento forte che rende nitida l’aria, e spingere avanti la loro immaginazione. Sveleranno misteri, che li guideranno alla scoperta di misteri ancora più grandi, e poi di altri ancora. Poco importa se, in questo, la maggioranza degli uomini non sarà in grado di seguirli: gli Hahashiyah riusciranno sempre a trarre, dalle loro scoperte esoteriche, vigore e contenuti per le loro realizzazioni concrete, quale che sia il campo che si sono scelti, e se la gente non capirà molto di ciò che hanno conosciuto, sentirà tuttavia aumentare sempre di più il loro fascino. Così avvenne, tra gli altri, al Hahashiyah Rainer Maria Rilke, forse il meno letto tra i grandi poeti del Novecento, eppure uno dei più amati, avvolto come da un’aura di santità di una qualche religione non ancora nata.
Viceversa, gli Hahashiyah mostrano purtroppo una scarsa disposizione alla conoscenza di se stessi, e soprattutto dei loro lati più quotidianamente umani. Sono talmente presi dai loro scopi superiori, da dimenticare volentieri i propri bisogni: e i bisogni che decidiamo di ignorare si vendicano sempre di noi, degenerando dispettosamente. Può avvenire perciò che un Hahashiyah, dopo aver trascurato troppo a lungo le esigenze del proprio corpo, ceda a una qualche forma di bulimia, o all’alcolismo, o precipiti in un esaurimento che richieda lunghe cure. O che, dopo essersi imposto una solitudine troppo rigorosa, decida di uscirne proprio al momento sbagliato, scambiando per amici persone che non sono affatto tali; o di fidarsi di ciò che una qualche setta o gruppo dice, invece di tenere in debita considerazione anche quello che quella setta o quel gruppo fa ed è. Le delusioni cocenti che ne ricevono li spingeranno allora verso una solitudine ancor più dura, verso ideali personali ancor più esclusivi, fino a un’ulteriore, inevitabile ricaduta in qualche analogo errore, e così via ciclicamente.Testo per gentile Tratto da Igor Sibaldi - Libro degli Angeli
Hahasiah, o Hahashiyah, è il 51esimo Soffio e il terzo raggio angelico nel Coro venusiano degli Angeli Principati, nel quale amministra le energie di Giove. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dal 10° al 15° del Sagittario ed è l'Angelo Custode dei nati dal 3 al 7 dicembre.
I sei Angeli Custodi del Sagittario sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati persone leali, gentili, energiche e indipendenti, capaci di gestire il potere ma anche di essere generosi con i deboli e gli oppressi; orgogliosi e impulsivi, questi nati sono anche pronti a dimenticare i torti. Secondo Sibaldi i 6 angeli del Sagittario hanno anche una caratteristica specifica: sono accomunati da qualità molto simili tra loro, il che non si riscontra nelle energie angeliche di nessun altro segno zodiacale: è semmai molto raro che due Angeli dello stesso segno si somiglino. Questi 6 
Principati, invece, sembrano essere una sorta di variazione sullo stesso tema esistenziale, che Sibaldi chiama "il Castello": quello che sembra rappresentato, fra 2 torri, nel pittogramma delle 3 lettere-radice del Nome di Vehuel (il primo dei Principati). E aggiunge che i Principati, appunto, 
sono gli Angeli della Bellezza: Dante, nel pieno rispetto della Qabbalah, li colloca nel terzo cielo del Paradiso, quello di Venere. La bellezza è quel qualcosa che si coglie nelle forme, ma che supera le forme stesse: e tutti i loro protetti sembrano appunto porsi, sul piano esistenziale, come "in alto" rispetto agli altri, in quanto cercano in se stessi una forma di identità più alta, più grande del semplice «io». Se per moltissimi che si accontentano di appartenere a un qualche «noi» (nazione, squadra, azienda, famiglia, religione, razza) l’«io» non è ancora nemmeno considerato, e per molti altri ancora l’«io» è un punto di arrivo (già riuscire a essere se stessi è una grande conquista), per i nati sotto questi angeli l’io è addirittura una porta (la Hé!), l’inizio di una via, oltre la quale sono impazienti di avventurarsi. Perciò il «noi» può annoiarli e opprimerli, così come fermarsi alla semplice accettazione e soddisfazione dell’«io». 
Il nome di Hahasiah significa “Dio occulto"

Il dono dispensato da Hahasiah
 è la PANACEA, o la PIETRA FILOSOFALE.
Dice Haziel che questo angelo incita la persona a esteriorizzarsi esprimendo, come fossero i propri, i valori che egli vi infonde: pace, armonia, spirito conviviale, unione benevola fra tutti, garbo e fratellanza a livello universale. Ed ecco così il desiderio di compiere gesti edificanti e nobili, l'aspirazione a comportarsi in modo sublime, suscettibile di procacciare ammirazione; spesso il suo protetto è dunque una persona difficile da superare, soprattutto nei principi. L'Amore sarà posto al servizio del Disegno Divino nella sua fase di esteriorizzazione, il soggetto si sentirà totalmente identificato con la propria Missione. Le gravi difficoltà che si possono incontrare nella vita, però, o le aspirazioni della personalità superficiale verso valori materiali potranno causare conflitti interiori, causando così l'ingresso dell'Angelo contrario a Hahashiyah (Gilarion), il quale incoraggia il rancore. Tuttavia la ribellione rancorosa, che a sua volta imprigiona, potrà non aver seguito grazie all'intervento di questo angelo, che fa dono della sottomissione al proprio Sè superiore, e dunque della forza necessaria per affrontare, senza perdersi, la vita con tutti i suoi inganni e le sue difficoltà: Hahashiyah impone il rispetto della vera autorità, sicché la biblica espressione della Preghiera al Padre 'sia fatta la Tua Volontà' acquisterà pienamente il suo significato. La persona sarà impegnata in missioni imperniate sull'Amore; per sua Virtù l'Amore verrà interiorizzato, facendolo affluire dalle energie dispensate da questo angelo, e poi riversato sul mondo. Si dice dunque che questo angelo è portatore principalmente di bontà infinita. Secondo il testo tradizionale fa scoprire i misteri del Bene e della natura guidando verso la Pietra Filosofale, cioè il valore inestimabile (panacea) che scaturisce dalla profonda saggezza. Sul piano scientifico Hahashiyah esercita la sua influenza sulle attività quali la chimica, la fisica e la medicina, promuovendo le scoperte che possono alleviare le sofferenze degli esseri umani. Molti dei suoi protetti, in virtù di meriti acquisiti nelle loro vite precedenti, potranno giungere a possedere un sapere enorme, impressionante, non frutto (solo) di esperienza o di studi, ma infuso direttamente dall'Angelo. Una tale persona potrà chiedere e ottenere anche poteri per guarire se stessa e gli altri; potrà restituire salute fisica e spirituale rendendo provvidenziale la propria opera.

Qualità di Hahasiah e ostacoli dall'energia "avversaria"
Le qualità che sviluppa Hahasiah sono saggezza e amore per il prossimo; concede comprensione del principio di causa e d'effetto che permette di guarire, amore radioso, tolleranza e fiducia. Dispensa animo nobile ed elevato verso le cose dello Spirito; vocazione per la medicina e la ricerca scientifica. Dona protezione dai bugiardi. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Gilarion e rappresenta il materialismo eccessivo. Causa confusione, mancanza di discernimento, presunzione, certezze eccessive o dubbio, disillusione, mancanza di fiducia, gelosia, rancori. Ispira i ciarlatani e tutti coloro che ingannano il prossimo promettendo cose assurde e incredibili. 
Meditazione associata al Nome: nessuna colpa 
La meditazione associata a Hahasiah si chiama "nessuna colpa". Secondo la kabbalah non esistono fatti senza senso, dunque nemmeno vincitori o "vittime" a causa dei capricci di un fato insensato. E' per noi incomprensibile l'esistenza del male, ma secondo la visione di insieme che non riusciamo ad avere anche ogni male che si verifica è un atto necessario, in un'infinita rete di correlazioni di cui vediamo solo un'infinitesima parte, e rappresenta un'esperienza volta a condurre fuori da un labirinto. Anche ogni nostro atto contro gli altri, al di là delle nostre intenzioni, deve avvenire e ha uno scopo. Tuttavia deve essere nostro intendimento e capacità non causare mai dolore a nessuno. Se ci è capitato, e ne siamo pentiti, la sofferenza che proviamo per averlo fatto deve liberarci e non imprigionarci, dobbiamo divenire coscienti che il nostro pentimento ci restituisce la condizione spirituale precedente a ogni trasgressione. Meditazione • Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione: per l'enegia di questo Nome chiedo alla Luce di scaricare tutti i miei difetti. La forza chiamata "pentimento" emenda i miei pesi spirituali e indebolisce nella mia natura ogni lato oscuro.
Esortazione angelica

Hahasiah esorta a trovare in se stessi la bontà e la fiducia per metterla in pratica, senza mai arrendersi a sconforto e recriminazioni. Invita a cercare sempre connessione con la sua energia per attingere le grandissime risorse che sempre esistono in noi, anche quando ci appaiono esaurite.

HaHaSiYaH (dal 3 al 7 Dicembre)




 he-khet-shin

L'Angelo della tua missione
"LA MIA ENERGIA LAVORA PER LA CONOSCENZA"

CHIAVI: La rivelazione di misteri e di poteri occulti. L'amore per la contemplazione. La scoperta di una missione. Fortuna nelle imprese disinteressate. Protezione contro il disprezzo. Guarire i malati.

COSA TI CHIEDE? Quali sono le tue missioni?

"Angelo di iniziati, di maghi, di terapeuti o di uomini di spettacolo, abili in quelle tre lettere: KHET, la tecnica, la fatica; HE, la spiritualità; SHIN, la superiore conoscenza… Angelo, dunque, tra i più difficili da vivere: eppure chi vi è nato deve accettarne l’incarico. È la legge naturale degli Angeli: se li segui, tutto va per il meglio e tutto nella tua vita acquista senso; se invece trascuri uno qualsiasi dei talenti che ti donano, cominciano i problemi, le malinconie, i disagi."

Tratto da Igor Sibaldi - Istruzioni per gli Angeli