Il compito degli ‘Imamiyah è uno dei più difficili e scomodi dell’intero panorama angelologico. È l’Angelo dei prigionieri (quella doppia mem, nel Nome, è anche l’immagine di una doppia cinta di mura), degli schiavi, di chi ha attorno a sé un nemico soverchiante: e a capo del nemico, sulla porta del carcere, sta l’inganno, l’ayin, l’apparenza che nasconde solamente il nulla. Gli ‘Imamiyah devono imparare e insegnare ad accorgersi di quanto la vita dei loro simili venga a trovarsi spesso in una situazione del genere. La gente comune non lo vede, o se anche lo vede non vuol farci caso. Così, per esempio, né l’Occidente né gran parte della popolazione sovietica voleva accorgersi di quanto orribili fossero certi aspetti dello stalinismo e del poststalinismo, quando un fervido ‘Imamiyah come Solzenitsyn metteva a rischio la vita per denunciarli. Una lunga educazione all’accorgersi delle proprie schiavitù psicologiche e religiose sono anche i libri dello ‘Imamiyah Osho, che venne avvelenato – si dice – per aver scardinato troppe porte di quelle prigioni.
Agli ‘Imamiyah, dicevo, tocca in sorte innanzitutto imparare in che cosa consista l’oppressione: e questa è naturalmente, per la maggior parte di loro, la parte più dura. Pochi hanno la fortuna o l’accortezza di cominciare presto a interessarsi di ossessioni, fissazioni, fobie, sensi di colpa e vittimismo (dei più frequenti carcerieri, cioè, dell’uomo contemporaneo) e di armarsi preventivamente contro di essi. In genere, lo ‘Imamiyah si trova a sperimentare tutto questo di persona: e per anni è costretto, per la sua stessa sopravvivenza, a fare i conti con pesanti fantasmi della propria mente; o magari con gli incubi e le angosce di persone a lui vicine; oppure a subire situazioni di grande solitudine, di incomprensione, di marginalità. Scopre in tal modo che cosa significhi ritrovare se stessi, lottare, difendersi. Accumula ed esercita in questa scoperta un’immensa energia e finalmente – se tutto va bene – può cominciare a fare da guida ad altri.
A volte è già piuttosto tardi, per lui, e certi ‘Imamiyah somigliano all’abate Faria ne Il conte di Montecristo: la poetessa Emily Dickinson, per esempio, che mai poté uscire dal suo villaggio natale, e le cui opere vennero pubblicate solamente postume. Altre volte il duro periodo di apprendistato li segna profondamente, e li rende individui cupi, aggressivi, impulsivi, distruttivi spesso, con anche la tendenza a imporre ad altri rapporti di dipendenza – come per un triste risarcimento, o per una brutta piega rimasta dai tempi delle loro personali schiavitù. Pressoché tutti, infine, appaiono emotivamente chiusi, sfuggenti, e guardano con un’ostilità sospettosa e sarcastica chiunque nel loro ambiente abbia pregi e prestigio – come se in qualche modo rubasse la scena a loro, che dopo così lunga maturazione interiore avrebbero tante cose da dire.
Ne hanno, infatti. Qualunque sia la loro professione, li anima un preciso desiderio di opporsi, più o meno direttamente, a ogni forma di limitazione o anche autolimitazione della dignità umana: cercano e spesso trovano oppressori da smascherare, situazioni ingiuste alle quali ribellarsi. Sognano onestamente la riconquista di un Paradiso perduto, per usare il titolo dell’opera più famosa di John Milton, un ‘Imamiyah anche lui. Come terapeuti sono abilissimi, come sindacalisti e attivisti politici sono spesso esemplari, e in qualsiasi apparato di controllo o nelle forze dell’ordine possono rivelarsi preziosi. Tutto dipende da quanto siano riusciti a liberare se stessi dai taglienti residui del loro istruttivo passato. Il più frequente dei loro rischi psicologici, quando cominciano a darsi da fare per gli altri, è l’idealizzazione eroica della propria figura: sentirsi troppo investiti di una missione non fa bene, agli ‘Imamiyah; il loro senso della realtà tende ad appannarsi, e mentre danno la caccia o aggrediscono un nemico, un oppressore (magari solamente presunto tale) o insegnano ad altri a liberarsi da plagi e prigionie, non si rendono conto di venir presi loro stessi per individui opprimenti; fu così per un ‘Imamiyah dei più cupi e sventurati, il generale Custer, nella cui mente, forse, non balenò mai l’idea che fosse lui il nemico degli indiani, ben più di quanto gli indiani fossero nemici suoi.
È necessario che si abituino a sorvegliarsi; che facciano il meno possibile di testa loro e trovino una causa, una Chiesa, un partito per il quale agire; e possibilmente che, tra tutte le armi per lottare contro le servitù, imparino a preferire l’ironia – che tra l’altro ha il vantaggio di potersi applicare, non appena sia necessario, anche contro chi la usa. Tutte queste cautele sono indispensabili per gli ‘Imamiyah, anche perché permettono loro di non eccedere nel senso di responsabilità personale: se agiscono in totale autonomia e si prendono troppo sul serio, tendono infatti a soverchiarsi di impegni e soprattutto di tensioni, fino a fiaccare la loro fibra fisica e nervosa.
Quanto agli ‘Imamiyah che non si sentono toccati da impulsi altruistici, il loro destino è tra i più cupi. Non solo restano bloccati nella prima fase della loro crescita interiore – nella scoperta dell’oppressione, appunto, e passano così da una prigionia all’altra, nei loro rapporti umani, e da una fase ossessiva all’altra, nei loro rapporti con se stessi – ma cresce e ribolle in loro un’astiosità tutta speciale, rancorosa, invidiosa. Sviluppano la tendenza a trovarsi dei capi, per poi rapidamente tradirli; a incensare un amico e conquistarsene la fiducia, per poi calunniarlo. E non vi è legame, nemmeno famigliare, che ben presto non appaia loro come una trappola da cui liberarsi. È, questa, l’ombra brutta del compito che avrebbero dovuto svolgere. È una compulsione, un altro carcere dunque, e vi è poco da fare, a quel punto: se non se ne liberano da soli, non ne verranno fuori mai.
Da Igor Sibaldi - Libro degli Angeli
'imamiah, o ‘Imamiyah, è il 52esimo Soffio e il quarto raggio angelico nel Coro venusiano degli Angeli Principati, nel quale amministra le energie di Marte. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dal 15° al 20° del Sagittario ed è l'Angelo Custode dei nati dall'8 al 12 dicembre.
I sei Angeli Custodi del Sagittario sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati persone leali, gentili, energiche e indipendenti, capaci di gestire il potere ma anche di essere generosi con i deboli gli oppressi; orgogliosi e impulsivi, questi nati sono anche pronti a dimenticare i torti. Secondo Sibaldi i 6 angeli del Sagittario hanno anche una caratteristica specifica: sono accomunati da qualità molto simili tra loro, il che non si riscontra nelle energie angeliche di nessun altro segno zodiacale: è semmai molto raro che due Angeli dello stesso segno si somiglino. Questi
Il dono dispensato da Imamiah è l'AMNISTIA, o l'ESPIAZIONE.
Principati, invece, sembrano essere una sorta di variazione sullo stesso tema esistenziale, che Sibaldi chiama "il Castello": quello che sembra rappresentato, fra 2 torri, nel pittogramma delle 3 lettere-radice del Nome di Vehuel (il primo dei Principati). E aggiunge che i Principati, appunto,
sono gli Angeli della Bellezza: Dante, nel pieno rispetto della Qabbalah, li colloca nel terzo cielo del Paradiso, quello di Venere. La bellezza è quel qualcosa che si coglie nelle forme, ma che supera le forme stesse: e tutti i loro protetti sembrano appunto porsi, sul piano esistenziale, come "in alto" rispetto agli altri, in quanto cercano in se stessi una forma di identità più alta, più grande del semplice «io». Se per moltissimi che si accontentano di appartenere a un qualche «noi» (nazione, squadra, azienda, famiglia, religione, razza) l’«io» non è ancora nemmeno considerato, e per molti altri ancora l’«io» è un punto di arrivo (già riuscire a essere se stessi è una grande conquista), per i nati sotto questi angeli l’io è addirittura una porta (la Hé!), l’inizio di una via, oltre la quale sono impazienti di avventurarsi. Perciò il «noi» può annoiarli e opprimerli, così come fermarsi alla semplice accettazione e soddisfazione dell’«io».Il dono dispensato da Imamiah è l'AMNISTIA, o l'ESPIAZIONE.
Imamiah dispone del potere di armonizzare le energie di Marte (che rappresenta la forza e il lavoro), con quelle di Venere (che rappresenta l'amore, la dolcezza, la facilità). Se entrano in sintonia con lui, egli dona ai suoi protetti temperamento forte e spirito di sopportazione nelle avversità; guida a trovare la propria via tutti coloro che in buona fede cercano la verità. Dice Haziel che questo angelo accorda il piacere di ciò che è primordiale, l’anelito a quanto è divino; il desiderio di abbellire il mondo fisico e quello invisibile. Inoltre opera precipuamente sulle forme fisiche donando bellezza o fascino, come doti a garanzia di grazia e di successo. Dona la capacità di attingere la propria liberazione e compiere senza sforzo qualunque tipo di lavoro, successo nella vita sociale e nel soccorrere prigionieri o persone in situazioni difficili: Imamiah fa dei suoi protetti persone apportatrici di concordia, bellezza e armonia, capaci di dare alla Società tangibili attestazioni d’amore. L’energia dovuta a questo Angelo produce anche l’amore e la stima di sé, da cui discende la facoltà di essere stimati dagli altri.
Il nome di Imamiah significa “Dio eleva al di sopra di tutto"
Esortazione angelica
Qualità di Imamiah e ostacoli dall'energia "avversaria"
Le qualità che sviluppa Imamiah sono la propensione a riconoscere i propri errori, il saperli correggere e il riparare i danni causati. Dunque capacità di perdono, di rappacificarsi con i propri avversari, di soccorrere gli altri nelle difficoltà. Rigore, laboriosità, fede e senso del servizio, pazienza, coraggio, umiltà, semplicità. Tramite l'Invocazione è possibile ottenere da Imamiah, oltre a tutti i suoi i doni, liberazione dei prigionieri, viaggi utili e dilettevoli; inoltre la protezione da persone ostili, purché si sia nel giusto, oppure sinceramente pentiti per errori che hanno condotto all'ostilità. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Bacaron e rappresenta il desiderio sterile di rivalsa. Ispira orgoglio e animosità; causa limitazioni alla libertà, situazioni bloccate e senso di oppressione. Le distorsioni in cui, a causa sua, possono incorrere le personalità Imamiah sono instabilità e iper reattività emotiva, amore competitivo, relazioni troppo passionali e deviazioni sessuali, rigidità orgogliosa, intransigenza, severità eccessiva e conflittualità.
Meditazione associata al Nome: passione
La meditazione associata a Imamiah si chiama "passione": secondo la kabbalah infatti questo nome accende l'ardore. Per accedere davvero al potere della preghiera, abbiamo bisogno innanzitutto di un fuoco che ardendo nel cuore alimenti il fuoco dell'anima; come quello che alimentava l'Himamiah Emily Dickinson. Queste lettere (ayin-mem-mem) danno il potere di connettersi spiritualmente in modo sincero e secondo la giusta coscienza, sapendo guardare oltre le apparenze che limitano l'orizzonte. Meditazione • Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione: per l'enegia di questo Nome si alimentano le fiamme della passione nel mio cuore e nella mia anima. Il potere di queste lettere mi trasmette la forza della sincerità, devozione e corretta coscienza nelle mie preghiere, meditazioni e connessioni spirituali.
Esortazione angelica
Imamiah esorta a osservare se stessi in profondità, cercando di comprendere i propri cambiamenti e dunque il vero significato che hanno le esperienze cui andiamo incontro e le conseguenze che determinano nella nostra vita. Guardando oltre le apparenze invita a prendere coscienza dei propri talenti e con fiducia a metterli al servizio del mondo e degli altri, senza eccedere nelle certezze, sempre attenti a mantenersi indulgenti ed aperti.
spira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione: per l'enegia di questo Nome si alimentano le fiamme della passione nel mio cuore e nella mia anima. Il potere di queste lettere mi trasmette la forza della sincerità, devozione e corretta coscienza nelle mie preghiere, meditazioni e connessioni spirituali.
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