venerdì 29 novembre 2013

DaNiY'eL (dal 28 Novembre al 2 Dicembre) 2' parte

La scala di Giacobbe di William Blake (28 novembre 1757)
Dn, in ebraico, è una radice che significa «giudicare», ma in base a un’idea di giustizia lievemente Dn, invece, è il valutare le azioni in base alle loro conseguenze: la lettera daleth indica, in geroglifico, «la capacità di separare, di distinguere», e la nun «i risultati dell’agire ». Si tratta dunque di un modo più realistico di fare chiarezza, di comprendere i comportamenti umani; dal punto di vista, poi, di chi ha compiuto o subito un’azione sbagliata, dn fa balenare anche un’idea diversa del perdono. Per noi, infatti, perdonare qualcuno significa sostanzialmente rinnegare, nel suo caso, i principî di giustizia, dimenticarli o ritenerli meno importanti dell’individuo (e il rischio è, naturalmente, che a forza di perdonare in tal senso, quei principî finiscano con l’indebolirsi); mentre nel dn è inclusa anche l’idea che si debba sempre «separare» l’individuo dalle azioni che ha commesso: e che dunque chi ha rubato non sia per ciò stesso un ladro, ma semplicemente uno che a un certo punto ha commesso un furto; e, allo stesso modo, che chi ha sbagliato vita non sia un fallito, e chi ha patito un torto non sia una vittima, e via dicendo.
diversa da quella che solitamente pratichiamo noi. Noi riteniamo che sia già gran cosa riuscire a pesare e punire, o premiare, le azioni in base a certi principî che la maggioranza ritiene validi. 
Dayan, «giudice», diventerebbe insomma colui che, dopo aver analizzato qualche guaio, ha il dono di dire a chi vi era coinvolto: «Ecco, è passata, sei di nuovo tu: ora puoi vedere meglio, imparare da ciò che è avvenuto e ricominciare in un altro modo». E i Da niy’el hanno precisamente questo potere, e possono trarne grande vigore, ispirazione e gioia.
Sono per loro natura saggi e sensibili, avidi di verità e altruisti: mentre la maggioranza degli uomini si ritrae inorridita o disgustata dinanzi agli errori o ai guai di un loro simile, i Daniy’el ne sono attratti per vocazione, sentono il profondo impulso a sciogliere i lacci che legano il futuro altrui, come se quel futuro fosse il loro. Brillano dunque in qualsiasi campo dell’assistenza: come operatori sociali, specialisti della riabilitazione, educatori in scuole difficili; talvolta diventano una benedizione anche come psicologi, benché non dispongano di una specifica Energia Yod. Ma, a parte questi loro ambiti più appropriati, vale sempre la regola secondo cui quanto più uno scopre e sviluppa le doti del suo Angelo, tanto più si estende il suo campo d’azione: e, quindi, quale che sia la professione di un Daniy’el, la scoperta e lo sviluppo dei suoi impulsi a migliorare la sorte altrui non potrà che accrescere la sua fortuna. Era Daniy’el Friedrich Engels, che trascurò la sua florida ditta per togliere dalle ristrettezze economiche Karl Marx e finanziare la diffusione delle sue opere: ed elaborò insieme con lui la più celebre delle ideologie moderne in difesa degli sfruttati e il miglior sistema – a tutt’oggi – di scindere e analizzare le componenti e le forze di una società ingiusta. È Daniy’el anche Woody Allen, che nelle sue opere analizza lui pure, meticolosamente, le dinamiche dei lacci psicologici e morali che imprigionano la personalità dell’individuo civilizzato, apparentemente normale.
E individuare un laccio, nella vita interiore come anche nella società, vuol già dire aver cominciato a sciogliersene: il dn si basa su quella fondamentale legge del limite, per la quale nessuno che abbia visto un proprio limite ne rimane davvero bloccato, poiché sarebbe stato impossibile vederlo se non si fosse già giunti più in là di esso. Perciò i «giudizi» dei Daniy’el hanno sempre un effetto corroborante: alita dalle loro analisi lo slancio di una nuova voglia di vivere, di nuove speranze, oltre che la viva percezione di una vittoria morale, magari su noi stessi, quando vediamo che qualche nostra sconfitta è dipesa soltanto da un nostro comportamento errato, e (dn!) ci accorgiamo che nulla ci impedisce di comportarci altrimenti da lì in poi.
Quanto invece al delineare progetti concreti per un avvenire migliore, i Daniy’el non sono altrettanto precisi e attendibili. Il loro compito è giudicare, non costruire. Il Daniy’el Winston Churchill, per esempio, fu un’ottima guida per gli inglesi nelle loro circostanze più critiche, nella Prima come nella Seconda guerra mondiale, ma rivelò una scarsa lungimiranza nei periodi postbellici. Nella direzione del futuro, l’immaginazione danieliana sembra evaporare, come se si dissolvesse non appena i guai del presente e del passato cessano di ancorarla alla realtà; e solo in arte certe loro dissolvenze riescono meravigliosamente – nelle visioni di William Blake, per esempio, o nelle ville di Palladio. Ma tant’è: i Daniy’el consapevoli avranno comunque da fare a sufficienza, nel presente, per il bene di moltissimi.
Feroci sono invece le conseguenze di un loro eventuale rifiuto dei propri talenti. Un Daniy’el che decida di occuparsi soltanto del proprio personale benessere viene regolarmente assediato da inconvenienti, che gli faranno desiderare per sé proprio ciò che avrebbe dovuto fare per gli altri. La vita lo porrà in situazioni di sconfitta, di oppressione, di disperazione anche, tanto più dure quanto più proverà a desiderare qualcosa e a esporsi per ottenerla. Un’unica via d’uscita, assai magra, la troverebbe nel tenersi da parte in tutto, in una qualche professione-guscio, senza azzardare mai nulla, senza mai nemmeno tentare di conoscere la propria autentica personalità (perché anche questo sarebbe un desiderio, e dunque un esporsi): un po’ come la maschera che proprio Allen ama indossare nei suoi film, per esorcizzarla. Così dimesso e impaurito, il Daniy’el renitente non avrebbe che da perdersi in una qualche massa e fluire con essa, sperando che a quella massa non capiti nulla di male, o che eventualmente salti fuori un qualche Daniy’el sveglio e volonteroso a soccorrerla nelle fasi critiche.

 di Igor Sibaldi,  da Libro degli Angeli Dn, in ebraico, è una radice che significa «giudicare», ma in base a un’idea di giustizia lievemente diversa da quella che solitamente pratichiamo noi. Noi riteniamo che sia già gran cosa riuscire a pesare e punire, o premiare, le azioni in base a certi principî che la maggioranza ritiene validi. Dn, invece, è il valutare le azioni in base alle loro conseguenze: la lettera daleth indica, in geroglifico, «la capacità di separare, di distinguere», e la nun «i risultati dell’agire ». Si tratta dunque di un modo più realistico di fare chiarezza, di comprendere i comportamenti umani; dal punto di vista, poi, di chi ha compiuto o subito un’azione sbagliata, dn fa balenare anche un’idea diversa del perdono. Per noi, infatti, perdonare qualcuno significa sostanzialmente rinnegare, nel suo caso, i principî di giustizia, dimenticarli o ritenerli meno importanti dell’individuo (e il rischio è, naturalmente, che a forza di perdonare in tal senso, quei principî finiscano con l’indebolirsi); mentre nel dn è inclusa anche l’idea che si debba sempre «separare» l’individuo dalle azioni che ha commesso: e che dunque chi ha rubato non sia per ciò stesso un ladro, ma semplicemente uno che a un certo punto ha commesso un furto; e, allo stesso modo, che chi ha sbagliato vita non sia un fallito, e chi ha patito un torto non sia una vittima, e via dicendo.
Dayan, «giudice», diventerebbe insomma colui che, dopo aver analizzato qualche guaio, ha il dono di dire a chi vi era coinvolto: «Ecco, è passata, sei di nuovo tu: ora puoi vedere meglio, imparare da ciò che è avvenuto e ricominciare in un altro modo». E i Da niy’el hanno precisamente questo potere, e possono trarne grande vigore, ispirazione e gioia.
Sono per loro natura saggi e sensibili, avidi di verità e altruisti: mentre la maggioranza degli uomini si ritrae inorridita o disgustata dinanzi agli errori o ai guai di un loro simile, i Daniy’el ne sono attratti per vocazione, sentono il profondo impulso a sciogliere i lacci che legano il futuro altrui, come se quel futuro fosse il loro. Brillano dunque in qualsiasi campo dell’assistenza: come operatori sociali, specialisti della riabilitazione, educatori in scuole difficili; talvolta diventano una benedizione anche come psicologi, benché non dispongano di una specifica Energia Yod. Ma, a parte questi loro ambiti più appropriati, vale sempre la regola secondo cui quanto più uno scopre e sviluppa le doti del suo Angelo, tanto più si estende il suo campo d’azione: e, quindi, quale che sia la professione di un Daniy’el, la scoperta e lo sviluppo dei suoi impulsi a migliorare la sorte altrui non potrà che accrescere la sua fortuna. Era Daniy’el Friedrich Engels, che trascurò la sua florida ditta per togliere dalle ristrettezze economiche Karl Marx e finanziare la diffusione delle sue opere: ed elaborò insieme con lui la più celebre delle ideologie moderne in difesa degli sfruttati e il miglior sistema – a tutt’oggi – di scindere e analizzare le componenti e le forze di una società ingiusta. È Daniy’el anche Woody Allen, che nelle sue opere analizza lui pure, meticolosamente, le dinamiche dei lacci psicologici e morali che imprigionano la personalità dell’individuo civilizzato, apparentemente normale.
E individuare un laccio, nella vita interiore come anche nella società, vuol già dire aver cominciato a sciogliersene: il dn si basa su quella fondamentale legge del limite, per la quale nessuno che abbia visto un proprio limite ne rimane davvero bloccato, poiché sarebbe stato impossibile vederlo se non si fosse già giunti più in là di esso. Perciò i «giudizi» dei Daniy’el hanno sempre un effetto corroborante: alita dalle loro analisi lo slancio di una nuova voglia di vivere, di nuove speranze, oltre che la viva percezione di una vittoria morale, magari su noi stessi, quando vediamo che qualche nostra sconfitta è dipesa soltanto da un nostro comportamento errato, e (dn!) ci accorgiamo che nulla ci impedisce di comportarci altrimenti da lì in poi.
Quanto invece al delineare progetti concreti per un avvenire migliore, i Daniy’el non sono altrettanto precisi e attendibili. Il loro compito è giudicare, non costruire. Il Daniy’el Winston Churchill, per esempio, fu un’ottima guida per gli inglesi nelle loro circostanze più critiche, nella Prima come nella Seconda guerra mondiale, ma rivelò una scarsa lungimiranza nei periodi postbellici. Nella direzione del futuro, l’immaginazione danieliana sembra evaporare, come se si dissolvesse non appena i guai del presente e del passato cessano di ancorarla alla realtà; e solo in arte certe loro dissolvenze riescono meravigliosamente – nelle visioni di William Blake, per esempio, o nelle ville di Palladio. Ma tant’è: i Daniy’el consapevoli avranno comunque da fare a sufficienza, nel presente, per il bene di moltissimi.
Feroci sono invece le conseguenze di un loro eventuale rifiuto dei propri talenti. Un Daniy’el che decida di occuparsi soltanto del proprio personale benessere viene regolarmente assediato da inconvenienti, che gli faranno desiderare per sé proprio ciò che avrebbe dovuto fare per gli altri. La vita lo porrà in situazioni di sconfitta, di oppressione, di disperazione anche, tanto più dure quanto più proverà a desiderare qualcosa e a esporsi per ottenerla. Un’unica via d’uscita, assai magra, la troverebbe nel tenersi da parte in tutto, in una qualche professione-guscio, senza azzardare mai nulla, senza mai nemmeno tentare di conoscere la propria autentica personalità (perché anche questo sarebbe un desiderio, e dunque un esporsi): un po’ come la maschera che proprio Allen ama indossare nei suoi film, per esorcizzarla. Così dimesso e impaurito, il Daniy’el renitente non avrebbe che da perdersi in una qualche massa e fluire con essa, sperando che a quella massa non capiti nulla di male, o che eventualmente salti fuori un qualche Daniy’el sveglio e volonteroso a soccorrerla nelle fasi critiche.
  Tratto da Libro degli Angeli di Igor Sibaldi
Daniel, o Daniy’el, è il 50esimo Soffio e il secondo raggio angelico nel Coro venusiano degli Angeli Principati, nel quale amministra le energie di Saturno. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dal 5° al 10° del Sagittario ed è l'Angelo Custode dei nati dal 28 novembre al 2 dicembre. I sei Angeli Custodi del Sagittario sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati persone leali, gentili, energiche e indipendenti, capaci di gestire il potere ma anche di essere generosi con i deboli gli oppressi; orgogliosi e impulsivi, questi nati sono anche pronti a dimenticare i torti. Secondo Sibaldi i 6 angeli del Sagittario hanno anche una caratteristica specifica: sono accomunati da qualità molto simili tra loro, il che non si riscontra nelle energie angeliche di nessun altro segno zodiacale: è semmai molto raro che due Angeli dello stesso segno si somiglino. Questi 6 
Principati, invece, sembrano essere una sorta di variazione sullo stesso tema esistenziale, che Sibaldi chiama "il Castello": quello che sembra rappresentato, fra 2 torri, nel pittogramma delle 3 lettere-radice del Nome di Vehuel (il primo dei Principati). E aggiunge che i Principati, appunto, 
sono gli Angeli della Bellezza: Dante, nel pieno rispetto della Qabbalah, li colloca nel terzo cielo del Paradiso, quello di Venere. La bellezza è quel qualcosa che si coglie nelle forme, ma che supera le forme stesse: e tutti i loro protetti sembrano appunto porsi, sul piano esistenziale, come "in alto" rispetto agli altri, in quanto cercano in se stessi una forma di identità più alta, più grande del semplice «io». Se per moltissimi che si accontentano di appartenere a un qualche «noi» (nazione, squadra, azienda, famiglia, religione, razza) l’«io» non è ancora nemmeno considerato, e per molti altri ancora l’«io» è un punto di arrivo (già riuscire a essere se stessi è una grande conquista), per i nati sotto questi angeli l’io è addirittura una porta (la Hé!), l’inizio di una via, oltre la quale sono impazienti di avventurarsi. Perciò il «noi» può annoiarli e opprimerli, così come fermarsi alla semplice accettazione e soddisfazione dell’«io». 
Il nome di Daniel significa “Segno di misericordia"

Il dono dispensato da Daniel
 è l'ELOQUENZA e la CAPACITA' DI PERSUASIONE.
Con questo dono non si intende la capacità di fare uso di parole altisonanti o di frasi ricercate ma, al contrario, la capacità di esprimersi con semplicità, sapendo toccare il cuore e le emozioni; un dono che aggiunge carisma a personalità forti.
Dice Haziel che questo angelo stimola l'amore per il comando. Per il suo potere la persona sarà portata a dirigere, fruirà di rango e funzioni elevati. Parrallelamente Daniel assicura la simpatia dei dirigenti. Di conseguenza i suoi protetti non faticheranno a trovare un impiego né ad accedere a posizioni di notevole responsabilità. Tutto ciò che la personalità Daniel saprà realizzare sarà caratterizzato da una bellezza straordinaria, clamorosa, rutilante. Qualora la sua professione sia l'architetto, progetterà stabili di cospicua bellezza, ricchi di dettagli singolari, che varranno a distinguerli collocandoli a un livello decisamente superiore a quello dell'edilizia utilitaria. In effetti i nati sotto questo angelo hanno grande finezza di comportamento, discernimento e senso della giustizia, e grazie alla loro eloquenza sono anche i migliori difensori possibili; si può

Qualità di Daniel e ostacoli dall'energia "avversaria"
Le qualità che sviluppa Daniel sono concretezza; capacità di sintesi e di analisi; profondità di ragionamento e semplicità d'espressione; amore per la bellezza e l'arte. Concede i doni dell'eloquenza o del canto; carattere magnetico, capace di consolare ed aiutare gli altri: i suoi protetti infatti sono riflessivi, buoni consiglieri, portatori di armonia e di giustizia nel senso più umano del termine. Dona protezione dagli aggressori. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Sbarionath e rappresenta il pessimismo e il rancore. Causa intransigenza, eccessiva severità, accusa, delazione, frode. Ispira a vivere con mezzi illeciti.   
Meditazione associata al Nome: abbastanza non è mai abbastanza 
La meditazione associata a Daniel si chiama "abbastanza non è mai abbastanza"; secondo la Kabbalah infatti questo Nome offre uno strumento meditativo efficace per prendere coscienza del proprio valore e anche di quali sono le cose di cui realmente abbiamo bisogno e per cui ci dobbiamo impegnare. Comprendere che si merita di più (nel senso profondo e non delle mere acquisizioni materiali) aiuta a capire se nella nostra vita stiamo accettando compromessi che finiscono per mortificarci. A volte infatti "ci accontentiamo" nel senso che ci svendiamo, finendo per sottovalutarci e per rinunciare ad aspirare a una vera realizzazione. Meditazione • Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione: per l'enegia di questo Nome chiedo aiuto nell'individuare i veri obiettivi per la mia felicità. I miei occhi e il mio cuore restano focalizzati tutto il tempo sull'obiettivo finale. Risveglio la perseveranza e la passione, la determinazione a non accontentarmi mai, ma proprio mai, del meno. dire che siano giudici o avvocati nati, anche se non esercitano queste professioni. Non per niente Daniel si prega soprattutto per questioni legali.
Ma sebbene venga indicato come l'angelo che "serve per ottenere la misericordia di Dio" e che "domina la giustizia, gli avvocati, i procuratori e tutti i magistrati", la sua funzione più importante è nella vita di tutti i giorni, e sta nell'ispirare in modo positivo chi, dovendo prendere una decisione importante, si sente in preda all'incertezza. Sul piano esistenziale Daniel conduce a distaccarsi dalla materia per percepire la verità nella sua essenza; ma affidarsi al suo aiuto porta anche i suoi protetti a sviluppare il dono, in loro innato, di uno spiccato sesto senso per gli affari.

Esortazione angelica
Daniel esorta a divenire giudici attenti di se stessi e del mondo, e ad esercitare tutta la clemenza, la compassione e la fiducia necessarie per sviluppare i propri talenti; con il suo aiuto invita a trarre il meglio da se stessi, dagli altri e dalle circostanze, nell'interesse di tutti. 



DaNiY'eL (dal 28 Novembre al 2 Dicembre)



 
daleth-nun -yod

L'Angelo della Crisi
"IO GIUDICO CIO' CHE SI E' MANIFESTATO"

CHIAVI: Protezione contro la rassegnazione. Il perdono dalle offese. Protezione contro le sconfitte. Protezione contro la disperazione. Saper desiderare e coltivare la bellezza. Ritrovare il vigore perduto.

COSA TI CHIEDE: Quali sono i tuoi "draghi"?

"E' la parte più nobile di ognuno di voi: disprezzano talmente la gente, che agli altri mostrano solo i loro lati peggiori.Tutto ciò che hanno di buono lo tengono solo per sé. Sono aridi e amari; ma vedono molto lontano.
Possono, potrebbero perciò fare grandi cose, se solo gli importasse un poco dell'opinione degli altri. Ma preferiscono di gran lunga affinare le proprie qualità segrete. L'approvazione altrui li insospettisce e li opprime. Se non scopri in te questa parte, starai sempre a guardare gli altri che guardano te."
Da I. Sibaldi "L'arca dei nuovi Maestri"

lunedì 25 novembre 2013

Wehewu’el (dal 23 al 27 Novembre) 2' parte

La torre d'avorio di Nicoletta Ceccoli
Le tre lettere principali di questo Nome sono uguali a quelle del reboante Wehewuyah dell’inizio di primavera: due waw, che raffigurano il nodo e l’ostacolo, attorno a una he, simbolo dell’anima e dell’invisibile. Ma Wehewuyah era del Coro dei Serafini, Angeli della volontà suprema, e per lui le waw rappresentavano una sfida irritante, un assedio da spezzare. Con Wehewu’el siamo invece nel Coro dei Principati, delicati Angeli della bellezza: e le due waw, qui, somigliano piuttosto alle torri di un castello, in cui animi nobili trovano riparo da un mondo che a loro non piace.
I Wehewu’el hanno, in realtà, la strana caratteristica di tenere aristocraticamente nascoste le loro migliori qualità. Alla gente (e spesso anche ai propri famigliari) ne mostrano altre, costruite apposta, come maschere: a volte mediocri, a volte addirittura scadenti, come se godessero nell’apparire inferiori a ciò che veramente sono. E non è per modestia. La gente, semplicemente, li ha profondamente delusi; troppa volgarità, ottusità e meschinità hanno trovato attorno a sé fin dall’infanzia: sono troppo brutti gli yahoo, direbbe il Wehewu’el Jonathan Swift – che ne I viaggi di Gulliver aveva ribattezzato «yahoo» la specie umana – e perciò non meritano di aver libero accesso ai grandi tesori che ogni Wehewu’el sa di possedere in se stesso.
Gli si potrebbe obiettare che è lui a volerli vedere così, e che i nostri simili hanno pure qualche tratto buono e interessante, anche se certamente non tutti. Ma un Wehewu’el non ne vorrà sapere, risponderà con un sorriso vago, che a moltissimi sembra ipocrita – la cosa non lo tocca minimamente. In qualche raro momento di confidenza potrà raccontarvi che ha provato anche lui a vedere del buono negliyahoo, e varie volte se n’è fidato, ma invano. Voi avrete, giustamente, il sospetto che in qualche modo il Wehewu’el se le sia andate a cercare, quelle esperienze tristi di cui parla: ma in tal caso potrà rispondervi che non ha fatto proprio nessuna fatica a trovarle. E lì la conversazione su quest’argomento potrà anche aver fine.
Il Wehewu’el, d’altra parte, ritiene di stare benissimo da solo. In cima alla torre più alta del suo castello interiore, la sua brillante intelligenza può fargli scoprire ogni giorno cose nuove, se ha saputo nutrirla di cultura; se no, ragiona limpidamente sulle notizie del giornale e comprende come pochi altri le dinamiche politiche, sociali e soprattutto morali del suo tempo; oppure, se ha sviluppato interessi spirituali, medita e contempla verità grandiose. Ma non ve ne parlerà mai. Forse ne racconterà qualcosa al suo gatto, o al suo cane, poiché i Wehewu’el amano molto gli animali; oppure ai bambini, altra loro passione, purché siano abbastanza piccoli da non essere stati ancora contaminati dal mondo scadente dei loro genitori.
Ricordate Harpo Marx, con il suo personaggio muto e sempre occupatissimo a rendere ridicoli gli adulti? Harpo era nato il 23 novembre. Anche Collodi era di quest’Angelo: e non è un semplice caso, dunque, se stranissimamente Le avventure di Pinocchio non venne notato da nessuno se non dai bambini, finché il suo autore visse; e come prevedendolo (e forse anche desiderandolo, chissà), quando decise di stamparlo in volume, Collodi si rifiutò di firmare il contratto che gli garantiva i diritti d’autore: lo pubblicò gratis, insomma, per esprimere tutto il suo disprezzo per quel pubblico che i suoi colleghi si affannavano invece a compiacere. Certamente meno orgoglioso fu, per i diritti d’autore, Charles M. Schulz, l’autore deiPeanuts, ma noterete che tra i suoi personaggi non compaiono mai gli adulti, quasi fosse sottinteso che non avrebbero potuto capire in alcun modo le profonde riflessioni filosofiche di Charlie Brown, Linus e Snoopy, o l’arte pianistica di Schroeder. E Laurence Sterne, il più originale autore del Settecento inglese, costruì il suo Vita e opinioni di Tristram Shandy sulla finta intenzione di scrivere una biografia del suo protagonista: ma in settecento pagine non ne narrò che i primi quattro anni – come se solo quelli contassero – e godette invece nel dipingergli intorno un ambiente di parenti e servitori terribilmente spassosi, con i loro tic e le loro follie di adulti «normali».
Nei nostri dintorni, Wehewu’el sono molti dei camerieri che al ristorante ci guardano dall’alto in basso, sorridendo del nostro modo di esitare davanti al menu; e così pure insegnanti e impiegati di second’ordine, casalinghe e custodi che avrebbero potuto svolgere egregiamente mansioni illustri, ma che in fondo al cuore hanno invece ritenuto una concessione eccessiva mostrare al prossimo quanto valgono. Si troverebbero altrettanto bene in qualsiasi attività che richieda o induca una notevole dose di scetticismo nei riguardi degli ideali altrui: come – almeno in certi Paesi, il nostro incluso – i funzionari di ministero o di ambasciata, o i militari di carriera.
Il grosso problema è che tra le doti dei Wehewu’el, come di quasi tutti i protetti dei Principati, si trova anche quella speciale variante d’Energia Yod che i qabbalisti chiamano «consolazione»: una sorta di impercettibile effluvio risanatore che, quando viene usato, ha il potere di dissolvere negli altri la rabbia, il rancore, il rimpianto e il rimorso, i quattro terribili errori psicologici, cioè, che rendono il nostro organismo più vulnerabile alle malattie. E dato che, proprio come l’Energia Yod, anche la «consolazione » si vendica di chi non la usa – causando in lui gli stessi disagi che avrebbe potuto curare – e che l’unico modo di usarla è rivolgersi agli altri con simpatia e fiducia, e parlare, confidarsi, e condividere sentimenti, ne consegue che la solitudine e il riserbo dei Wehewu’el finiscono con l’essere, per loro, piuttosto rischiosi. Dovrebbero scendere almeno un po’ dalla torre, se non altro per amore della propria salute. Ma l’unica cosa che possa veramente costringerli a farlo sarebbe un ideale, lo slancio che dà il pensiero di avere una missione nel mondo – una qualsiasi, non importa quale. E occorre un miracolo perché ne trovino uno e riescano a crederci abbastanza a lungo, senza che il loro cuore si inacidisca.
Il Wehewu’el Augusto Pinochet ebbe forse qualche ideale del genere in gioventù, ma poi, quando giunse al sommo del suo lugubre potere, si sa come andò a finire per gli sventurati yahoo cileni che dovettero subirne la dittatura.
Tratto da Igor Sibaldi - Libro degli Angeli

Vehuel, o Wehewu’el, è il 49esimo Soffio e il primo raggio angelico nel Coro venusiano degli Angeli Principati, nel quale amministra le energie di Urano. Il suo elemento è il Fuoco; ha domicilio Zodiacale dallo 0° al 5° del Sagittario ed è l'Angelo Custode dei nati dal 23 al 27 novembre. I sei Angeli Custodi del Sagittario sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati persone leali, gentili, energiche e indipendenti, capaci di gestire il potere ma anche di essere generosi con i deboli gli oppressi; orgogliosi e impulsivi, questi nati sono anche pronti a dimenticare i torti. Secondo Sibaldi i 6 angeli del Sagittario hanno anche una caratteristica specifica: sono accomunati da qualità molto simili tra loro, il che non si riscontra nelle energie angeliche di nessun altro segno zodiacale: è semmai molto raro che due Angeli dello stesso segno si somiglino. Questi 6 Principati, invece, sembrano essere una sorta di variazione sullo stesso tema esistenziale, che Sibaldi chiama "il Castello": quello che sembra rappresentato, fra 2 torri, nel pittogramma delle 3 lettere-radice del Nome. E aggiunge che i Principati sono gli Angeli della Bellezza: Dante, nel pieno rispetto della Qabbalah, li colloca nel terzo cielo del Paradiso, quello di Venere. La bellezza è quel qualcosa che si coglie nelle forme, ma che supera le forme stesse: e tutti i loro protetti sembrano appunto porsi, sul piano esistenziale, come "in alto" rispetto agli altri, in quanto cercano in se stessi una forma di identità più alta, più grande del semplice «io». Se per moltissimi che si accontentano di appartenere a un qualche «noi» (nazione, squadra, azienda, famiglia, religione, razza) l’«io» non è ancora nemmeno considerato, e per molti altri ancora l’«io» è un punto di arrivo (già riuscire a essere se stessi è una grande conquista), per i nati sotto questi angeli l’io è addirittura una porta (la Hé!), l’inizio di una via, oltre la quale sono impazienti di avventurarsi. Perciò il «noi» può annoiarli e opprimerli, così come fermarsi alla semplice accettazione e soddisfazione dell’«io». Il nome di Vehuel significa “Dio che magnifica e innalza"
Il dono dispensato da Vehuel è l'ELEVAZIONE.
Vehuel è definito l'angelo più sublime ed esaltato, quello che riunisce, fonde e compenetra in sè i piaceri del Cielo e della Terra: intensifica le percezioni sensoriali e crea splendore, fisico e morale, intorno ai suoi protetti che si affidano a lui, i quali sono persone seducenti e capaci di toccare il cuore. Dice Haziel che Vehuel fa scoprire agli Umani la bellezza dell'Ordine Divino; ma perché ciò possa accadere promuove l'alleanza fra quanti si assomigliano, affinché, una volta riuniti, possano edificare insieme una nuova società basata sulla gioia comune. I suoi nati, dunque, assimilano, per così dire incorporano gli amici alla propria essenza, perché Vehuel è l'Angelo della perfetta amicizia. E' anche angelo di consolazione, da invocare ogni volta che il nostro spirito è triste e contrariato, per i nostri turbamenti personali o per compassione verso le tribolazioni del mondo, per riceverne conforto e speranza.
Qualità di Vehuel e ostacoli dall'energia "avversaria"
Le qualità che sviluppa Vehuel sono generosità d'animo, disponibilità verso gli altri, valori morali, personalità acuta e sensibile; gioia, amicizia, altruismo, tolleranza, capacità di cogliere il bello ovunque, e anche di riappacificare i contendenti. Concede successo nei campi della giurisprudenza, delle lettere, dell'insegnamento e della diplomazia. Dona protezione dai furti e dagli incidenti. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Onéi  e rappresenta l'egoismo e l'avidità. Ispira odio, egoismo, egocentrismo, ipocrisia, intolleranza; causa despotismo, crudeltà, abusi di potere.
Meditazione associata al Nome: felicità
La meditazione associata a Vehuel si chiama "felicità" e ci aiuta a discernere, e a saper scegliere, fra il piacere momentaneo e la felicità duratura. Questo processo può passare per delle fasi di rinuncia, il cui vero scopo è portarci a comprendere i veri bisogni della nostra anima, che restano nascosti sotto le pulsioni superficiali, che tengono verso gli egoismi e gli appagamenti più effimeri.  L'insegnamento cabbalistico legato a questa meditazione è quello del famoso detto: "attento a ciò che desideri! potresti ottenerlo"; un monito che alliude alla verità per cui la nostra anima raggiunge la gioia solo quando la nostra vita si sintonizza con le sue aspirazioni più elevate. Meditazione • Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione: trovo la forza per dissipare i miei sentimenti egoistici: per l'energia di questo Nome chiedo e ottengo ciò di cui la mia anima ha veramente bisogno, non quello che il mio ego crede di desiderare. La mia anima si espande: sento di apprezzare profondamente ogni cosa che la vita mi offre e mi sento permeare dalla felicità.
 
Esortazione angelica
Vehuel esorta alla gioia, all'espansione, alla tolleranza più autentica nella comprensione dell'unità fra noi e ogni altro essere e cosa. 






WeHeWu'eL ( dal 23 al 27 Novembre)

WeHeWu'eL ( dal 23 al 27 Novembre) waw-he-waw

L'Angelo di chi guarda dalla torre
"LA MIA ENERGIA E' DA OGNI PARTE PROTETTA E NASCOSTA"

CHIAVI: Protezione contro la rassegnazione. Grande energia. Indifferenza per la morale altrui. Protezione contro l'eccessivo senso di superiorità. Ricerca della verità attraverso la contemplazione. Scoperta della propria missione.

COSA TI CHIEDE? Quanto riesci a risalire indietro nei tuoi ricordi?

"E' la parte più nobile di ognuno di voi: disprezzano talmente la gente, che agli altri mostrano solo i loro lati peggiori.Tutto ciò che hanno di buono lo tengono solo per sé. Sono aridi e amari; ma vedono molto lontano.
Possono, potrebbero perciò fare grandi cose, se solo gli importasse un poco dell'opinione degli altri. Ma preferiscono di gran lunga affinare le proprie qualità segrete. L'approvazione altrui li insospettisce e li opprime. Se non scopri in te questa parte, starai sempre a guardare gli altri che guardano te."
Da I. Sibaldi "L'arca dei nuovi Maestri"

sabato 23 novembre 2013

’Ay‘a’el (dal 19 al 24 febbraio)

aleph-yod-ayin
Io vedo al di là delle apparenze
Hanno assoluta necessità di una vetta, e di starci sopra da soli: il loro sguardo deve poter spaziare libero su tutto l’orizzonte, a tu per tu con il cielo. Da lassù i guai, i pensieri, i progetti di tutti (anche i loro stessi) appaiono talmente piccoli da sorriderne; e solo le altre vette, lontane, sembrano meritare attenzione. George Washington scolpito sul picco del Monte Rushmore: ecco un ’Ay‘a’el perfettamente realizzato, immortalato nell’espressione e nel luogo a lui più congeniali. O anche Copernico, che medita sul sistema solare voltando le spalle alla terra che non lo capisce; o Chopin che, lontano dalla Polonia, cesella metafisici valzer, vertiginosamente inadatti a chi voglia ballare: anche questi furono ’Ay‘a’el fedelissimi alla consegna.
Ma altrettanto profonda, in tutti gli ’Ay‘a’el, è l’esigenza di scendere e comunicare, agli altri mortali, almeno un po’ di ciò che si impara là in cima. Senza grande entusiasmo, è vero, e soprattutto senza aspettarsi gran che dalla valle, ma un loro senso del dovere sociale non li lascerebbe in pace se tentassero di fare soltanto i solitari
E tutta la loro sorte dipende dall’equilibrio che riescono a stabilire tra queste direzioni dell’animo. Non è facile, e molti non reggono. A valle si sentono invischiati, soffocati, incompresi: in parte lo sono davvero; in parte architettano loro stessi, senza accorgersene, situazioni che li deludano e che giustifichino il loro ritorno sulle amate vette, via dalla gente che non merita. Dispongono, a tale scopo, di un loro repertorio di tecniche infallibili: possono per esempio eccedere nell’idealismo, e misurare tutti quanti (anche i famigliari) con un metro troppo severo; oppure esagerano nella generosità, per poi potersi sentire mal ripagati; o anche, nei casi più drammatici, riescono a boicottare le loro stesse realizzazioni, a mandare in rovina un’opera notevole o una carriera – appunto perché li faceva sentire troppo imprigionati nel mondo consueto. La loro congenita incapacità di ascoltare le critiche li asseconda perfettamente, in tale specie di perversioni. Fu per questa via che l’imbronciato, sdegnosissimo ’Ay‘a’el Arthur Schopenhauer arrivò a teorizzare la ragionevolezza del suicidio come metodo per sottrarsi alle illusioni e alle inerzie del mondo. E nel brusco finale di carriera dell’’Ay‘a’el Bettino Craxi ebbe una parte notevole, io credo, anche un irresistibile impulso alla fuga, da ’Ay‘a’el esasperato. Anche la sua scelta della Tunisia come luogo d’esilio è, quanto a questo, significativa: non è necessario che una vetta sia proprio in montagna, a volte basta che sia semplicemente a distanza, e che guardando verso l’orizzonte si veda lontano – come là in Tunisia, tra i deserti e il mare.
Frequenti, purtroppo, tra gli ’Ay‘a’el di minore respiro sono anche altre «vette» più facilmente raggiungibili: alcol, droga. Peter Fonda era nato il 23 febbraio: e i motociclisti del suo film Easy Rider erano molto ayaelici, i loro chopper erano modelli tecnologici di vette semoventi, con lo scintillio, come di nevi, dei tubi cromati, e tutt’intorno le sconfinate highways; è triste, ma in perfetta coerenza con il suo Angelo, il fatto che poi Peter non abbia più fatto nulla: come se più di tanto non fosse necessario, per uno che ama stare da solo. Oltre ai narcotici e agli eccitanti, gli ’Ay‘a’el possono scegliere come forma di isolamento dal mondo anche la depressione: Johnny Cash, per esempio, uno dei massimi cantanti country statunitensi, riuscì a collezionare tutte e tre le varietà di guai; fu una reazione, si disse, ai traumi dell’adolescenza e a un amore infelice: ma è altrettanto probabile che fosse semplicemente fretta e approssimazione nel trovare sollievo ai bisogni che il suo Angelo gli aveva assegnato.
Un po’ di equilibrio, ripeto, un po’ di pazienza: è tutto lì il segreto perché la vita sorrida a questi eremiti a metà. Un buon punto di equilibrio può essere, per loro, una qualsiasi forma di podio: il palcoscenico d’un teatro, un ufficio da dirigente, o una cattedra – universitaria possibilmente, poiché gli ordini di scuole inferiori impegnano troppo; e meglio di tutto in filosofia: l’’Ay‘a’el Benedetto Croce vi si trovò comodissimo, per decenni. Anche un pulpito può fare al caso, tanto più che raramente gli ’Ay‘a’el sono tagliati per il matrimonio e la paternità; o una passione costante per qualche mistica illustre e raffinata; o anche soltanto un’automobile un po’ più ricercata, che li faccia sentire speciali nel traffico urbano o nell’irrimediabile banalità di un’autostrada. In mancanza d’altro, anche un senso imperterrito della propria dignità può bastare – purché, certo, sia garantito un weekend contemplativo, dovunque sia ma lontano e in silenzio.
Tratto da I. Sibaldi "Istruzioni per gli Angeli"

    mercoledì 20 novembre 2013

    Yerathe’el ( dal 3 al 7 agosto)

    yod-resh-thaw
    Io bramo che ognuno superi se stesso 
    Potrebbe essere l’Angelo di D’Artagnan: il famoso moschettiere ha veramente tutti i tratti dei protetti di questa Dominazione, tanto da far seriamente pensare che Dumas, nel progettarlo, avesse consultato qualche prontuario di angelologia. D’Artagnan è infatti rissoso, temerario, giocatore, idealista, incorruttibile, cavalleresco e, soprattutto, splendidamente leale e generoso con gli amici, moschettieri come lui. Al tempo stesso, è afflitto da un segreto senso di colpa, che in un modo o nell’altro lo intralcia puntualmente nel guadagnare per sé solo; e da un senso d’inferiorità che, se da un lato contribuisce molto alla sua passione per i duelli, dall’altro gli fa cercare sempre qualcuno da venerare (era Athos, ne I tre moschettieri); e da un troppo burrascoso senso d’indipendenza, che ha spesso l’effetto di metterlo in pessima luce agli occhi dei superiori. Verificate negli Yerathe’el che avete conosciuto, e ne misurerete facilmente le intersezioni con tale modello.
    Di tutti questi vettori della personalità yeratheliana, il principale e il più delicato sembra essere proprio il senso di colpa: immotivato, di solito (non riferibile cioè a qualche cattiveria compiuta, o al ricordo di sentimenti ignobili covati in cuore), eppure profondo, invincibile, tumultuoso. È certamente alla radice della proverbiale aggressività degli Yerathe’el, che divampa sempre e soltanto contro chi abbia fatto o voglia fare qualcosa di male. Si direbbero paladini perennemente a caccia di felloni, e si intuisce (sia dall’accanimento che mettono nello scovarli e smascherarli, sia dalla malinconia che li affligge quando non ne trovano) che in ciascun fellone essi vedano in realtà se stessi, e lo attacchino perché la loro coscienza smetta almeno per un po’ di tormentarli. Per la medesima ragione lo Yerathe’el ha tanto bisogno di un ideale, e di qualche superiore che gli affidi un incarico, possibilmente audace: perché il suo io, la sua volontà, i suoi desideri gli sembrano sempre indegni, miserevoli, colpevoli. «Che diritto ho, io?» sembra domandarsi sempre, in fondo al cuore. Anche l’amore del rischio ne è una conseguenza, poiché lo Yerathe’el lo interpreta come una forma di abnegazione, come una sofferenza a lui necessaria. E anche l’amore del gioco, nel quale la speranza che la fortuna gli sorrida fa inconsciamente a pugni con un gran desiderio di perdere, per vedersi ancora una volta punito (giustissimamente, ai suoi occhi) dal destino. Del resto, non se la passano meglio gli Yerathe’el più prudenti, più scettici o più miti; in loro le torture del senso di colpa sono soltanto più recondite e perciò ancora più dolorose: causano in loro un senso di perenne sconfitta, o peggio ancora quella speciale repulsione nevrotica verso la gioia e le vittorie, per la quale arrivano a credere di non poter ottenere successi nella vita senza che su un loro caro si abbatta una disgrazia (ossessione, questa, tutt’altro che rara). E appunto perciò fanno pochissimo per sé e molto per gli altri, e se non hanno amici per cui lavorare possono anche ritrovarsi per anni a non far nulla di preciso.
    Inutile nutrire illusioni al riguardo. Questa non è una situazione che si possa modificare in alcun modo. La scelta fondamentale della loro vita si pone, bensì, tra due modi di intendere tale nevrosi, in loro congenita: come una condanna, un karma pesante sotto il quale languire, oppure come uno stimolo all’azione. Nel primo caso, si avrà lo Yerathe’el pessimista, burbero, infelice, bramoso di rovesci della sorte, oppure un outsider tormentato, come Percy B. Shelley, tanto disordinato e tragico; o come Maupassant, che morì in manicomio; o come i protagonisti dei film dello Yerathe’el John Huston (dal Tesoro della Sierra Madre Moby Dick); o quelli interpretati dall’inquietissimo, plurirecidivo Yerathe’el Robert Mitchum: in particolare l’ex galeotto de Il promontorio della paura, che del senso di colpa era la personificazione.
    Nell’altro caso, invece, gli Yerathe’el possono trasformarsi in perfetti eroi, ed è precisamente il compito a cui il loro Angelo li ha avviati. Occorre soltanto cheprendano sul serio quel senso di colpa e lo portino all’estremo. Non possono approvare e amare il loro io così com’è? Non si sforzino di farlo, lo superino, lo trascendano, per dedicare veramente agli altri le loro potenzialità. Godono nel credere di non meritare alcuna ricompensa dal destino? Continuino a godere tranquillamente di questa convinzione, e abbraccino una professione in cui possano aiutare altri a ottenere le ricompense e la felicità che meritano, o a non farsele sottrarre: agenti, produttori, consulenti, avvocati, giudici, carabinieri, medici anche – e in tal caso grandi lottatori contro le malattie, come lo Yerathe’el Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina. I benefici anche per loro saranno enormi: oltre a trovare finalmente un concreto e stabile sollievo al loro senso di colpa, si sentiranno amati, utili e necessari, il che per loro è quasi la porta dell’autentica felicità.

    Tratto da I. Sibaldi " Libro degli Angeli"

      martedì 19 novembre 2013

      MiYHe'eL (dal 18 al 22 Novembre) 2' parte

      A lungo, durante la giovinezza e anche più in là, i Miyhe’el fanno il possibile per assomigliare a chi vuol
      assomigliare agli altri: ma sanno che a loro non è concesso, e non capiscono perché. Solo qualche Miyhe’el più esperto, o gli Yezale’el – che conoscono gli stessi tormenti –, potrebbero aiutarli a capire il problema: il fatto è che nel loro io i due (o tre, o quattro) sessi a tutti noti si sono integrati, a costituire un modo di essere, di pensare, di sentire al tempo stesso maschile e femminile, penetrante e avvolgente, in grado di dare e di ricevere in egual misura. Che a questa ulteriore identità sessuale il mondo non sia ancora pronto, è cosa abbastanza evidente: i Miyhe’el non avrebbero, se no, tutti i problemi che hanno. Ma altrettanto evidente è che tutta l’umanità tenda, sempre più, in tale direzione: che nell’attrazione di un sesso verso l’altro si esprima la percezione della propria incompletezza, la brama di scoprire non tanto ciò che l’altro o l’altra ha di diverso da noi, ma ciò che in lui o in lei rispecchia una componente di noi, che da qualche nostra profondità non riesce ancora a emergere. Questa brama i Miyhe’el non ce l’hanno, a loro non occorre più. Per loro l’amore è amore e basta: un’anima che ne cerca un’altra a lei affine, senza che l’urgenza del desiderio spinga a produrre (come avviene ai più) illusioni di sentimenti dove non ce ne sono. E se riuscissero a essere veramente se stessi, i Miyhe’el non sbaglierebbero mai e avrebbero solamente unioni grandi, perfette, profondissime. Purtroppo, dicevo, a lungo provano ad adeguarsi, e la loro vita sentimentale conosce, spesso, tutti gli spigoli dolorosi dell’inautenticità, dell’incertezza, della delusione e della soffocante rassegnazione.
      Poi d’un tratto nascono, capiscono, si accettano. Può avvenire a venticinque anni o a trentotto (età classica della scoperta di sé) o ancora più in là; a destarli può essere un’ennesima delusione, o un brusco cambiamento di luogo o di lavoro, o un incontro, o lo slancio con cui, magari, si abbraccia un ideale o si abbandona una fede: comunque sia, quando succede, da una settimana all’altra tutto diventa nuovo, non solo e non tanto nei rapporti sentimentali, ma in ogni settore della loro esistenza. Il Miyhe’el butta all’aria tutti i suoi sforzi di sembrare ciò che non è, e si mette a fare di testa sua. Scopre la sua enorme energia (il doppio d’un normale individuo monosessuale), si accorge di poter pensare, anche, due volte più in grande di tutti quelli che conosce; ne è sorpreso e ne gioisce, e gioia e fierezza moltiplicano ancor di più la forza delle sue idee, dei suoi progetti, delle sue azioni. Avviene qualcosa di molto simile anche ai loro quasi gemelli Yezale’el; ma negli Yezale’el questa grande accelerazione produce per lo più la voglia di surclassare chi hanno intorno: nei Miyhe’el, invece, esplode qui un bisogno di liberazione, come una rivalsa su tutto il tempo sprecato a conformarsi. È capitato, nella storia, che queste esplosioni miheliane abbiano avuto conseguenze enormi: con Martin Lutero, per esempio, con Voltaire, o con De Gaulle: tutti e tre divennero a un tratto impavidi liberatori da una qualche oppressione, e provocatori testardi e irresistibili, dopo un periodo più o meno lungo di sottomissione alla mentalità altrui. Decisero di cambiare il mondo, né più, né meno; e anche il Miyhe’el Robert Kennedy ci avrebbe sicuramente provato, se non lo avessero assassinato. La Miyhe’el Nadine Gordimer volle cambiare invece la struttura della mente colonialista: e ci mise tutto il suo cuore, inimicandosi il governo e buona parte del popolo sudafricano per le sue battaglie contro l’apartheid; il Miyhe’el René Magritte gioì per decenni nel portare avanti, rinnovandola di continuo, la liberazione surrealista dell’immaginazione. Quanto alla più celebre tra le Miyhe’el attrici, Jodie Foster, il destino volle che il suo film più memorabile fosse proprio Taxi Driver, in cui recitava la parte di una bambina prostituita, schiavizzata cioè in un ruolo sessuale non suo (e quale Miyhe’el non si riconoscerebbe un po’?): e la sua liberazione distrugge d’un tratto tutto il mondo a lei noto, e suscita gran clamore. Angelologicamente inappuntabile.
      In quale professione queste bombe a orologeria possono trovarsi maggiormente a proprio agio? Direi in nessuna. O meglio: qualunque professione abbiano intrapreso prima della personale rivoluzione sembrerà loro inadatta. E qui le sorti dei Miyhe’el si dividono in due grandi gruppi: da un lato, quelli che si inventano un’attività nuova, una qualche improvvisa passione da coltivare dapprima nel tempo libero, e sulla quale poi costruire una fortuna; dall’altro, quelli che per età, o vincoli vari, o magari per timore dello slancio che in loro sta crescendo, preferiscono tenersi aggrappati al loro lavoro sicuro. Questi ultimi, naturalmente, saranno ben presto i più inquieti: insoddisfatti, impazienti, irritabili, con nel cuore la sensazione di star perdendo ogni giorno qualcosa. Può accadere anche che le due sorti finiscano con il sovrapporsi: che dopo un periodo di entusiasmo innovativo un Miyhe’el torni cioè a frenarsi, e a frenare anche ciò che nel frattempo avrà messo in moto; avvenne così a Lutero, nelle sue celebri retromarce dinanzi alle impennate più rivoluzionarie delle popolazioni da lui ispirate. Ma ne risulterà solo inquietudine e rimpianto. Meglio osare: rallentare in corsia di sorpasso non porta bene. Il Miyhe’el Carlo I d’Inghilterra, per esempio, non seppe né comprendere né assecondare i mutamenti che andavano maturando durante il suo regno, e nemmeno approfittare del colpo di fortuna che gli toccò dopo il suo primo arresto, quando riuscì, rocambolescamente (e mihelianamente) a evadere; tornò a opporsi alla marea montante della rivoluzione, e fu il primo monarca dell’Europa moderna decapitato sulla pubblica piazza. Ci sono tanti modi di decapitare se stessi e le proprie possibilità: abbiano riguardo, i Miyhe’el ridestati.

      Mihael, o Miyhe’el, è il 48esimo Soffio e l'ottavo raggio angelico nel Coro solare degli Angeli Virtù, nel quale amministra le energie lunari. Il suo elemento è l'Acqua; ha domicilio Zodiacale dal 25°al 30° dello Scorpione ed è l'Angelo Custode dei nati dal 18 al 22 novembre. I sei Angeli Custodi dello Scorpione sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati persone complesse, tenaci e determinate, dotate di forte sessualità e fascino, e di uno spirito libero che non si lascia dominare.
      Il nome di Mihael significa “Dio, padre misericordioso"
      Il dono dispensato da Mihael
       è la GENERAZIONE o la PROCREAZIONE.Mentre l'Arcangelo Raffaele (a capo del coro solare delle Virtù) rappresenta il Fuoco, l'Angelo Mihael (che in questo coro governa le energie lunari) rappresenta l'Acqua; entrambi evocano dunque l'unione felice di due elementi il cui equilibrio è all'origine di ogni fecondità. Unendo in sè queste due energie, Mihael simboleggia la perfetta interazione fra i complementari: è dunque l'angelo dell'unione coniugale, ma anche protettore di tutte le unioni, sia di amore e di amicizia, sia di tipo professionale (comprese le società e le associazioni), che favorisce concedendo fecondità (anche progettuale) e il dono dell'intuizione che permette di presentire esattamente ciò che sta avvenendo. E' anche l'agente fecondatore per eccellenza: i suoi protetti possono invocarlo contro la sterilità in qualunque momento, gli altri preferibilmente nel giorno di Mikael Arcangelo: la Domenica. Secondo il Testo Tradizionale, quest'Angelo ama che i suoi protetti viaggino molto e che assaporino tutti i piaceri, spirituali e materiali; i suoi nati saranno favoriti nello stabilire rapporti armoniosi e profondi con l'altro sesso: relazioni felici e piene d'immagine, di aneddoti, di avventure che arricchiranno.
      Dice Haziel che Mihael opera in modo che la nostra Coscienza si esprima precipuamente tramite i sentimenti. L'Ego attua un lavorio interiore per trarre profitto dall'illuminazione che la nostra natura emotiva riceve, e accordarle, per così dire, un elevato potere espressivo; i sentimenti vengono posti in evidenza, in risalto, e tutto ciò che la persona realizzerà farà leva sui sentimenti stessi. Per i mistici cristiani questo quadro interiore, sotto l'influsso radioso di Mihael, rappresenta la nascita del Figlio Divino in seno alla natura umana. Quest'Angelo-Sole è solidale con quanti ricercano l'interiorità e manifesta la sua Luce nella profondità dell'essere. 
      Qualità di Mihael e ostacoli dall'energia "avversaria"
      Mihael concede l'armonia coniugale, la pace e l'unione fra gli sposi; dispensa il dono di buone percezioni e della chiaroveggenza. Le qualità che sviluppa sono capacità di suscitare amore, riconciliazione, pace e benevolenza fra gli altri; fedeltà, intuito, premonizioni fondate, fecondità (relativa alla prole e alle opere dell'ingegno), piacevoli evasioni; temperamento sentimentale, incline all’amore e ai piaceri, difesa della famiglia. 
      L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Amatiah e rappresenta l'infedeltà e la lussuria. Causa discordia, sterilità, incostanza, problemi coniugali e gelosia.
      Meditazione associata al Nome: unità
      La meditazione associata a Mihael si chiama "unità". L'insegnamento cabbalistico legato a questa meditazione è che cercare di essere in armonia con i nostri avversari non è un precetto morale, ma un'azione che ci giova al massimo grade conducendo dentro di noi una Luce permanente. Pur avendo punti di vista opposti, due avversari possono avere entrambi ragione, o almeno credono di averla soggettivamente; ma per ottenere i benefici spirituali che portano vera felicità, in presenza di conflitti, invece di imporre ciecamente la propria ragione, ciascuno dovrebbe cedere il passo alla ragione superiore dell'unità.Meditazione • Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione: chiedo e ottengo la capacità di vedere, e comprendere, tutti gli aspetti dei problemi che mi si presentano: per l'energia di questo Nome mi focalizzo sull'unità e sull'anima, arginando le forze avverse della divisione e dell'egocentrismo.

       
      Esortazione angelica
      Mihael esorta alla pace e alla massima espressione delle proprie potenzialità in piena fiducia e solidarietà verso gli altri: perché noi siamo anche gli altri. L'unione fa la forza perché noi siamo, anche quando facciamo fatica a percepirlo, una cosa sola: ognuno di noi non è che una cellula nello stesso organismo. Ogni visione conflittuale è cecità, incapacità di vedere oltre le apparenze. 

      MiYHe'eL (dal 18 al 22 Novembre)

      MiYHe'eL (dal 18 al 22 Novembre) mem-yod-he

      L'Angelo delle madri del mondo
      "IO COMPRENDO LE MANIFESTAZIONI DELL'INVISIBILE"

      CHIAVI: Parità e armonia tra gli sposi.* Crescita spirituale e ricerca della verità. sapr guidare gli altri. Intuizioni, ispirazioni. legami profondi con le nuove generazioni.

      COSA TI CHIEDE? Oggi di quali cose sei incinta?

      "Sono talmente duplici, talmente maschili e talmente femminili al contempo, da non desiderare nulla dal sesso opposto, da guardar gli altri come se i sessi non esistessero. E solo se hanno i coraggio di accorgersi della propria duplicità e completezza, raddoppiano di colpo la propria energia di crescita in cielo come in terra, e vedono gli altri come sono, senza che il desiderio o la ripugnanza li intralcino. Hanno in se stessi due sposi, l'uno all'altro fedeli."
      I. Sibaldi "L'arca dei nuovi Maestri"

      * La parola sposi non è riferita a coniugi o fidanzati, ma alle dinamiche segrete del principio maschile e femminile nell'individuo.

      sabato 16 novembre 2013

      Ci sono persone a questo mondo, che hanno un'aria molto solenne mentre fanno quello che devono fare. E lo sai perché?
      Perché non sanno quello che fanno. Perché se sai quello che fai, non devi avere l'aria di saperlo, ti viene naturale

      mercoledì 13 novembre 2013

      ‘ASaLiYaH (dal 13 al 17 Novembre)

      ‘ASaLiYaH (dal 13 al 17 Novembre) ayin-shin-lamed

      L'Angelo del fare
      "IO CONOSCO LE VIE CHE DAL BASSO CONDUCONO IN ALTO"

      CHIAVI:Saper mirare al massimo e ottenerlo. Magnifiche intuizioni in ogni campo. Saper fare sempre la giusta scelta. Protezione contro l'immoralità.

      COSA TI CHIEDE:Prova a fidarti di ciò che non sai ancora di te. Che effetto fa?

      "Hanno sempre ragione. La verità in loro è un radar. Devono soltanto osare, dirla, sentirla in ogni loro pensiero, senza lasciare che i pensieri e le paure degli altri la nascondano. Quanta energia sprecano nell'impedirselo?"
      Da I. Sibaldi "L'arca dai nuovi Maestri"


      L’esitazione è il punto di partenza e l’unico vero nemico dei protetti di quest’Angelo delle Virtù. Gli ‘Ashaliyah imparano presto, infatti, a conoscere la forza di gravità che la maggioranza esercita su ogni individuo: la fittissima rete di frustrazioni, di rassegnazione, di attese (spesso infinite!) in cui i più accettano di vivere – e che nel Nome dell’Angelo è raffigurata nella lettera 
      ayin, il geroglifico del cedimento, delle traiettorie che si inclinano verso il basso. Fin dall’adolescenza gli ‘Ashaliyah sentono non soltanto di essere diversi da tutto ciò, ma di doverlo essere nel modo più evidente, perché il maggior numero possibile di persone sappia che esistono altre traiettorie, audaci, sfrontate, dritte verso l’alto. Perciò ogni volta che un giovane ‘Ashaliyah si accontenta di mezze misure avverte un senso d’angoscia, e le opinioni altrui lo annoiano dopo pochi secondi; quando viene criticato – non importa se a ragione o no – i suoi occhi sfavillano di collera o di disprezzo, che soltanto con enorme sforzo riesce a nascondere. L’impazienza gli brucia in petto, il suo viso e i suoi muscoli sono quelli di un atleta che aspetta lo start: e se ancora non scatta in avanti, è soltanto perché la sua mente – vasta, profonda, limpida – non ha ancora individuato una meta abbastanza alta per lui, tra le caligini e le nuvole basse della banalità che vede attorno a sé.
      Così si sentono, in gioventù. Può avvenire che aspettino a lungo, anche dieci, quindici anni, che per loro sono una tormentosa eternità. Può avvenire, nei casi più cupi, che il segnale di partenza li colga quando si sono già lasciati imbrigliare in un matrimonio opprimente o in un impiego inadatto a loro: e smuoversi, allora, è come strappar via un lembo della propria carne. Ma quando il momento arriva, non possono, non devono esitare. D’un tratto (le donne soprattutto) si lanciano vertiginosamente in qualche carriera brillante, e affrontano e superano rischi, sbaragliano ostacoli e avversari con un’energia che cresce in misura direttamente proporzionale ai successi ottenuti. A quel punto, come in un missile che esca dall’atmosfera, manca loro soltanto un ultimo stadio: ammettere dinanzi a se stessi la loro qualità più speciale, che è l’aver sempre ragione – un fulmineo, precisissimo istinto che permette loro di distinguere in ogni circostanza o persona il vero dal falso, il giusto dal perfido – e rifiutare da allora in avanti non soltanto le critiche ma persino i consigli di amici ed esperti, e non prendendo più in alcuna considerazione neppure le esigenze delle persone care o dei soci in affari, se contrastano con le loro. Allora nessuno li ferma più, e costruiscono imperi.
      A volte sbagliano, certo, ma per loro non è un problema: sanno che nessuno sbaglia tanto bene come loro, che cioè anche nei loro errori vi sarà sempre qualcosa di provvidenziale, il germe di qualche nuova intuizione da decifrare, o magari una prova che li fortifichi, o l’occasione per una pausa durante la quale raccogliere le forze e chiarirsi le idee per ripartire più risoluti. Sanno, soprattutto, che nessun errore deve scuotere la loro fiducia in se stessi: perché in tal caso la loro traitettoria verso l’alto si incurverebbe (l’ayin!) e ricomincerebbe l’angoscia, e l’angoscia, appannando la loro visuale, causerebbe altri errori, poi altri ancora, e il missile della loro energia perderebbe la rotta e si infrangerebbe al suolo. È dunque il loro istinto di conservazione (e non l’orgoglio, come credono i più, guardandoli) a convincerli che non sbagliano mai.
      Tutto ciò li rende personalità tanto affascinanti quanto impossibili a sopportarsi. È come se parlando con loro si percepisse di continuo il rombo di un motore in corsa. I famigliari, gli amanti, gli amici, devono tener loro dietro per non vederli svanire in una nube di gas di scarico, e poiché quasi nessuno ci riuscirebbe, gli ‘Ashaliyah riescono a conservare i rapporti con le persone care soltanto prendendole come equipaggio. Si addossano cioè le spese del loro mantenimento, o se le tengono intorno come farebbe un patriarca: riservando a se stessi tutte le decisioni, e pretendendo assoluta obbedienza e, possibilmente, adorazione. Né si dà mai il caso che possano cambiare atteggiamento: chi protesta viene semplicemente lasciato indietro e dimenticato, quando gli ‘Ashaliyah sono magnanimi, oppure sbrigativamente punito prima dell’abbandono, con memorabili accessi di furia.
      Non ha senso biasimarli per questo: sono forze esplosive della natura, non hanno altra scelta se non essere se stessi, in tutto e per tutto, o andare in mille pezzi se tentano di limitarsi. Devono naturalmente scegliersi professioni tiranniche: nemmeno dirigenti, ma fondatori e proprietari di aziende o società, o primari di cliniche, o baroni universitari, psichiatri, direttori di teatri, registi famosi (molti questi ultimi: sono ‘Ashaliyah Alberto Lattuada, Mario Soldati, Francesco Rosi, Martin Scorsese, Danny DeVito, Carlo Verdone), scienziati che puntino verso gli estremi confini della conoscenza (come Herschel, che scoprì il pianeta Urano). Tra gli uomini politici contemporanei, ‘Ashaliyah celebri sono Gheddafi e l’assai più timido, intralciato Carlo d’Inghilterra, che la sorte ha condannato ad attendere tanto a lungo. Oppure è la lontananza geografica ad attrarli, come avvenne per Robert Louis Stevenson, l’autore de L’isola del tesoro e dell’ashalianissimo Lo strano caso del dottor Jekyll e mister Hyde, che andò ad abitare, in qualità di proprietario terriero, in un’isola  dell’arcipelago di Samoa, e divenne ben presto un leader politico e spirituale per i nativi. Altri viaggi a loro congeniali sono quelli nell’invisibile, nella mistica, nella magia soprattutto, sempre in cerca di superiori conoscenze ma, ancor di più, di poteri da adoperare per la loro personale affermazione, assolutamente realistica, nel mondo terreno.
      Tratto da I. Sibaldi "Il libro degli Angeli"
      Asaliah, o ‘Ashaliyah, è il 47esimo Soffio e il settimo raggio angelico nel Coro solare degli Angeli Virtù, nel quale amministra le energie di Mercurio. Il suo elemento è l'Acqua; ha domicilio Zodiacale dal 20°al 25° dello Scorpione ed è l'Angelo Custode dei nati dal 13 al 17 novembre. I sei Angeli Custodi dello Scorpione sono potenze che collettivamente fanno dei loro nati persone complesse, tenaci e determinate, dotate di forte sessualità e fascino, e di uno spirito libero che non si lascia dominare. 
      Il nome di Asaliah significa “Dio giusto che indica la Verità"

      Il dono dispensato da Asaliah è la CONTEMPLAZIONE.
      Questo Angelo amministra le energie di Mercurio nel Coro solare delle Virtù: per questa ragione (essendo l'energia del Sole indentificata con la Verità, e quella mercuriana con la Giustizia) viene definito dalla Tradizione "Angelo di Giustizia e di Verità". I suoi protetti sono così portati a svolgere con successo compiti intellettuali, illuminati nell'intelletto e nei pensieri da questa energia angelica: le energie del Sole e di Mercurio, infatti, sgombrano dalla mente i pensieri negativi e i giudizi erronei. La memoria viene prodigiosamente rinforzata; con un'ottima memoria e le idee chiare, la persona troverà soluzioni efficienti. Il primo risultato di Verità e Giustizia si esprime nella consapevolezza che ogni cosa esistente è riverbero del volto di Dio e sua manifestazione: un dono nel dono; in quanto questa coscienza, come è insegnato tradizionalmente da ogni scuola mistica, discende dalla contemplazione.
      Dice Haziel che Asaliah orienta la volontà umana a esteriorizzare il Pensiero Divino: questo Angelo illumina i mezzi di comunicazione sociale affinché la persona abbia la possibilità di pronunciarsi, senza declamare o arringare, per esibire i propri meriti o esternare le proprie opinioni con la dovuta incisività. La persona sarà di per sè molto comunicativa, estroversa, pronta a trasmettere il proprio messaggio: una sorta di porta aperta, attraverso la quale uomini e donne potranno scorgere la Via Celeste. Questi nati hanno il dovere di proclamare l'Ordine Celeste, di annunciare la sua esistenza e la necessità di istituirlo: è loro compito ricercare gli elementi più efficaci a fare udire e ascoltare tale proclama, che se fosse annunciato a pochi non avrebbe risposta. 
      Infine, ad Asaliah ci si rivolge anche, specificamente, per ringraziare Dio delle grazie e benedizioni ricevute: ogni volta che una nostra richiesta, magari avanzata mediante uno degli alti angeli, viene accolta ed esaudita, è opportuno chiedere a lui di innalzare a Dio il nostro ringraziamento e gratitudine.
      Qualità di Asaliah e ostacoli dall'energia "avversaria"
      Le qualità sviluppate da Asaliah sono carattere piacevole, portato alla giustizia e alla vita contemplativa. Animo nobile, amore per la giustizia e la verità, capacità di elevarsi. Profondità di pensiero. Dona giudizi positivi, carattere affabile, inclinazione per lo studio e per la conoscenza; elevazione dell'anima, interesse per le discipline eoteriche ed entusiasmo per la verità divina; lungimiranza, probità, capacità di tornare sui propri passi. L’Angelo dell’Abisso a lui contrario si chiama Borol e rappresenta la menzogna e le azioni nell'ombra, fatte di nascosto. Causa scandali, immoralità, errori di valutazione.
      Meditazione associata al Nome: trasformazione globale
      La meditazione associata a Asaliah si chiama "trasformazione globale". Tutti noi, se guardiamo al mondo criticamente, vediamo tantissime cose che proprio non vanno, e sentiamo il desiderio di un mondo migliore; ma verità e giustizia irradiate da questo angelo conducono alla scoperta che, se vogliamo un mondo migliore, l'azione più urgente ed efficace è iniziare a trasformare noi stessi. Dalla qualità della nostra interiorità, infatti, dipende direttamente la qualità di tutto quello che possiamo trasmettere al mondo, e dunque l'efficacia di qualunque nostra azione.Meditazione • Ora, concentrando la tua visione sulle lettere ebraiche della radice del Nome, senza pensare ad altro, respira e, lasciandoti permeare profondamente e a lungo dal suo significato, pronuncia questa intenzione: rifletto sulla verità spirituale che la pace planetaria inizia dalla pace nel mio stesso cuore. Per l'energia di questo Nome si accelera la mia trasformazione spirituale e si rafforzano le spinte di pace nel mondo.
      Esortazione angelica
      Asaliah esorta a chiedere il suo aiuto per attingere conoscenza e verità con cui trasformare e migliorare se stessi e dunque la qualità della propria vita e infine il mondo.


      martedì 12 novembre 2013

      Spiritualità, creatività e concretezza

      Questo post, vuole solo essere una riflessione a quanto leggo ormai da anni; mi riferisco a seminari, libri, corsi che ormai dilagano continuamente ma non si percepisce ne si comprende quali siano i reali cambiamenti dei fruitori.
      Spesso mi trovo a comunicare con persone che abitualmente frequentano seminari, approfondiscono attraverso diverse letture le tematiche di loro interesse in quel momento, ma o come la sensazione che le stesse siano sempre allo stesso punto di quando sono partite con il loro percorso, o meglio con il percorso che in quel momento ha destato la loro curiosità o interesse; anche io ho partecipato a diversi seminari, ho letto non so quanto in merito agli aspetti spirituali della vita umana, spesso ne sono rimasto affascinato perché trovavo nelle parole degli interlocutori, sia scritte che orali, una certa somiglianza con quanto io stesso sentivo, anche solo in lontananza dentro di me.
      Poi con il passare del tempo mi rendevo conto che per quanto rimanevo colpito da tutto questo, non era quello il mio cammino, ho avuto come l'idea che ogni cosa letta o ascoltata era sempre un punto di partenza, ma non era la mia strada.
      Con ciò non intendo levare i meriti a coloro che in qualche modo hanno cambiato la loro esistenza, anzi li ammiro perché se anche io quotidianamente mi accingo alla mia scoperta, il mio fascino e la mia ammirazione per ogni personaggio incontrato durante il mio cammino, e gli autori che in qualche modo hanno determinato le mie esperienze, hanno il merito di aver fatto qualcosa di straordinario.
      Ciò che mi ha colpito è una sorta di manipolazione a cui ognuno di noi è soggetto nel momento stesso in cui si accinge a fare le proprie esperienze; quando uso il termine manipolazione intendo che siamo portati ad interagire con il prossimo attraverso l'uso di insegnamenti ricevuti o letti, che per quanto affascinanti non sono i nostri, per cui notavo che li vivevo in modo emozionale personale ma che la loro applicazione pratica non si sposava bene con quello che è la mia persona.
      Altro elemento comune che ho riscontrato nel contatto verbale con altri persone che in qualche modo erano legate a me da percorsi comuni, è che il più delle volte si parla sempre delle stesse cose, ovvero nuovi insegnamenti appresi, visioni diverse, concetti spirituali, cosa voleva dire l'autore in quel pezzo del suo libro, ecc.
      Ad oggi salvo qualche raro caso , non ho mai sentito in modo sincero far uscire dalle persone ciò che veramente pensano o vogliono o desiderano, quasi come se ne fossero dimenticate.
      Con questo non voglio criticare chi tiene i seminari o chi li segue, ma cercare di capire se possano esistere modi diversi di approccio sia per chi li deve tenere sia per i fruitori.
      Una volta una persona mi disse che ogni cosa, evento, situazione delle vita ordinaria l'avrei sempre dovuta vedere da tre punti di vista:
      - il mio;
      - il suo;
      - e poi c'è il terzo modo che non saprei definire, c'è chi dice che è quello giusto, o chi sostiene che è quello più adatto alla singola circostanza; per me è solo un semplice esercizio per cercare di vedere le stesse cose da diversi punti di vista senza dover necessariamente prendere sempre e solo la mia posizione, un po come mettersi in discussione in ogni istante della vita.
      Ho come la sensazione che le persone stiano perdendo il contatto con la realtà; diversi giorni fammi trovavo presso la sede di una società che selezionava persone per partecipare ad un reality ed ho assistito a diversi provini sia di uomini che di donne; il modo in cui descrivevano le proprie vite era tra l'illusorio e il fantastico, ma non ero li per entrare nel merito; ad un certo punto mi è venuto in mente un esercizio che tenne un coach durante una riunione che abitualmente facevo nel mio vecchio lavoro; l'esercizio era di una semplicità unica immaginate un gruppo di persone sedute in cerchio ed il coach in mezzo, ad un certo punto lo stesso estrae un pacchetto di sigarette e rivolgendosi ai statisti dice quante sigarette ci sono dentro questo pacchetto?
      Da li le risposte che sono arrivate sono state di tutti i tipi:
      dipende da quante, ne hai fumate, normalmente ci sono 20 sigarette, chi diceva 5 , insomma ognuno supponeva la risposta; ma credetemi nessuno si è alzato per fare pochi passi prendere il pacchetto di sigarette, aprirlo e contare quante c'è ne erano; da li ho capito diverse cose che tutti supponiamo di sapere tutto e che abbiamo perso il contatto con la semplicità.
      Per puro divertimento ho ripetuto l'esercizio in diverse occasioni, a diverse persone ed il risultato è stato sempre lo stesso: nessuno fa la cosa più semplice; per avere maggior conferma ho ripetuto l'esercizio a tre bambini e li mi sono veramente divertito perché mi guardavano con aria stupita poi uno dei tre mi guarda e mi dice: scusa aprilo e contale come faccio io a sapere quante sigarette ci sono dentro.
      L'esercizio apparentemente banale ha a che fare con la vita di tutti i giorni, come viviamo, ciò che pensiamo, e non fa la differenza se seguiamo o meno un percorso alla ricerca di noi stessi, ognuno chi più chi meno ha perso il contatto con la semplicità.
      La domanda è: ciò che apprendiamo attraverso i nostri percorsi, è presente in ogni aspetto della nostra vita?
      Il fatto che ognuno propagandi il proprio autore preferito, o il proprio culto, o semplicemente un agente immobiliare, non fa di noi esseri umani, ma propagandatori o venditori;  affinché avvenga uno scambio con un altro essere umano, basterebbe chiedere dei suoi figli, chiedere quali sono i suoi sogni più profondi, solo per saperlo niente di più; ma il più delle volte senza rendercene conto prendiamo la conversazione per pilotarla non è più un dialogo tra due esseri umani cui dovrebbe avvenire uno scambio, ma torniamo a fare i venditori ( in tal senso avviene una manipolazione).
      Queste parole hanno una domanda insita nel discorso fatto, a dire il vero la sto ancora cercando, ma mi piaceva condividerla